La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei o assoluti di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara, ed in particolare all’esecuzione dei contratti pubblici, ma deve essere verificata la compatibilità di tale forma di accesso con le eccezioni enucleate dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
Così la terza sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9567/2022 pubblicata il 3 novembre.
“Come ha rilevato la giurisprudenza di questo Consiglio”, ricorda Palazzo Spada, “sussiste una differenza tra l’accesso ordinario e quello civico, ove si consideri che l’art. 22 della legge n. 241 del 1990 consente l’accesso ai documenti a chiunque vi abbia un interesse finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3176), mentre l’accesso civico generalizzato è riconosciuto e tutelato al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico può essere esercitato da chiunque (quanto alla legittimazione soggettiva) e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10).
L’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 ha, dunque, inteso superare il limite del divieto del controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (e dei soggetti ad essa equiparati) previsto dallo strumento dell’accesso documentale come disciplinato dalla legge n. 241 del 1990. Nell’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale”, si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861)”.
Nella sentenza Palazzo Spada ricorda inoltre che “Per la consolidata giurisprudenza, pur se la mancata impugnazione del diniego nel termine di decadenza non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego o nel caso in cui a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo (Cons. Stato, Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7), il diniego non ha natura meramente confermativa allorché la successiva istanza di accesso sia basata su fatti nuovi e su di una diversa prospettazione della legittimazione all’accesso (Cons. Stato, Sez. V, 6 novembre 2017, n. 5996).
A maggior ragione, tale principio rileva quando una ulteriore istanza d’accesso è basata su un quadro normativo diverso da quello posto a base della precedente istanza, sicché sussiste l’obbligo di esaminarla (Cons. Stato, Sez V, n. 3162/2021)”.
IN ALLEGATO la sentenza.