Attualmente, uno dei settori di ricerca di maggior interesse è quello agroalimentare, a causa delle nuove sfide imposte dalla rapida crescita della popolazione mondiale e dai cambiamenti climatici. Come possiamo nutrire un pianeta che, secondo stime ONU, tra poco meno di cinquanta anni raggiungerà i nove miliardi di persone senza gravare ulteriormente sugli ecosistemi già sovrasfruttati? Come riusciremo a trasportare migliaia di tonnellate di cibo nelle future città, che secondo le stime ufficiali, entro il 2030 accoglieranno il 60% della popolazione mondiale?
E’ per dare una risposta a queste e ad altre domande che a livello internazionale stanno nascendo numerosi studi e ricerche in ambito agroalimentare e urbano. In questo contesto, dunque, si sviluppa il concetto di agricoltura urbana, cioè quell’insieme di pratiche e tecniche che consentono di coltivare, lavorare e distribuire il cibo all’interno di contesti urbani e peri urbani. L’agricoltura urbana nasce, o meglio rinasce, per garantire una maggiore sicurezza alimentare e una miglior qualità di ciò che mangiamo a fronte di una riduzione dell’inquinamento, delle emissioni nocive e del consumo di risorse. Numerose sono le soluzioni proposte in questo ambito, ma una più delle altre sta letteralmente affascinando ricercatori, progettisti e imprenditori di tutto il mondo e, con ogni probabilità, caratterizzerà l’evoluzione degli skyline delle future città: la vertical farm. Si tratta di un edificio-serra a sviluppo prevalentemente verticale che, accogliendo l’intera filiera agroalimentare, consente di produrre, trasformare, vendere e consumare cibo fresco e di alta qualità, sia animale che vegetale. Tutto questo grazie a tecniche di coltivazione soil-less (fuori-suolo) a ciclo chiuso che non prevedono l’uso di terreno. Edifici di questo tipo, immaginati fin dai primi anni del ‘900 e ridefiniti compiutamente alla fine degli anni ‘90, in particolare dal professor Dickson Despommier della Columbia University, consentono numerosi vantaggi: produzione continua durante tutto l’arco dell’anno, assenza di rischi dovuti alle avverse condizioni meteorologiche, bassi livelli di rifiuti, assenza di pesticidi e fertilizzanti utilizzati nella produzione agricola, riduzione del consumo di risorse (in particolare suolo ed acqua), riduzione delle miglia alimentari e nuove opportunità di lavoro.
Il prototipo consente di coltivare 400 piante e allevare 10 kg di pesce contemporaneamente e, una volta a regime, consentirà di coltivare fino a 4000 piante/anno (dipende dalla specie coltivata) e dai 10 ai 20kg di pesce all’anno. La farm tende a fare di più con meno, a ridurre l’impatto ambientale (il 90% dei materiali è riciclabile) e creare un sistema a ciclo chiuso che minimizzi la produzione di rifiuti e l’utilizzo di risorse. A tale scopo la farm è dotata di un impianto ibrido fotovoltaico-eolico ad accumulo che le consente di funzionare in quasi completa autonomia, mentre al suo interno è presente un sistema di monitoraggio e gestione, basato sulla tecnologia arduino, che permette di monitorare i valori dell'impianto e di controllarne le varie parti attraverso uno smartphone. Altre caratteristiche della struttura sono la scalabilità e la facilità (e rapidità) di montaggio, caratteristiche che la rendono facilmente adattabile alle diverse situazioni in cui può essere installata.
Il prototipo è un “laboratorio in divenire”, imperfetto per definizione, ma che consentirà di raccogliere numerosi dati ed informazioni sulla costruzione, la gestione, la produttività e la sostenibilità ambientale di una vertical farm, tanto da farci comprendere meglio i processi costruttivi e gestionali ed i vari scenari di sostenibilità economica che guideranno le prossime realizzazioni. Infatti, l'intenzione è quella di poter sviluppare altre strutture simili che consentano di ridurre le miglia alimentari e magari di creare una smart grid agroalimentare. Infatti, se queste strutture lavorassero in sinergia con i campi e le aziende agricole locali riuscirebbero, facilmente ed in poco tempo, a rendere le comunità in cui si inseriscono autosufficienti e sempre più capaci di resiste ai cambiamenti (climatici e non). Cosi facendo si potrebbe, allo stesso tempo, coltivare le tradizioni agricole locali e ad innovare creando conoscenza, posti di lavoro ed incrementando il senso di appartenenza ad una comunità.