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Le storture del Piano Città: spesi dai Comuni 736 milioni a fronte dei 173 ricevuti

Secondo uno studio di Ifel la formula della “tempestiva esecutività” degli interventi ha generato molte distorsioni

giovedì 17 novembre 2016 - Redazione Build News

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Nel 2012 457 Comuni hanno partecipato al “Piano Città”, il programma di finanziamento di progetti per la rigenerazione urbana lanciato dal Governo Monti con il decreto legge 83/2012, convertito con legge 134/2012 “Misure urgenti per la Crescita del Paese” (articolo 12).

Il valore iniziale dei progetti ammontava a 20 miliardi di euro complessivi. Alla fine sono stati 28 i Comuni assegnatari delle risorse disponibili, per un costo complessivo di 1.716.129.120 euro.

A fronte di quasi 666 milioni di euro di finanziamento richiesto, è stato accordato un importo di quasi 173 milioni, di cui utilizzato meno del 10%.

SPESI 736 MILIONI PER INCASSARE 173 MILIONI. Uno studio di Fondazione Ifel (il Centro studi dell'Anci) ha rilevato che i costi di progettazione sostenuti dalle amministrazioni (secondo una stima basata sul livello di progettazione e sui costi complessivi degli interventi) sono stati pari a 736 milioni di euro (percentuale media del 3,74% del costo complessivo dell’intervento). A guadagnarci sono stati quindi soprattutto i progettisti.

Gli interventi avevano diversi livelli di progettazione, da studi di fattibilità (molti) ai progetti esecutivi (alcuni). Nella totalità dei casi esaminati, il finanziamento concesso dal Programma è stato impegnato per la realizzazione dell’intervento attraverso lo strumento dell’appalto: non è stato attivato alcun Partenariato Pubblico Privato (PPP). Nell’84% dei casi analizzati, gli interventi non risultano ancora conclusi.

DISTORSIONI CON LA FORMULA DELLA “TEMPESTIVA ESECUTIVITÀ”. Secondo lo studio la formula della “tempestiva esecutività” degli interventi ha generato molte distorsioni. Ha infatti impedito la strutturazione di virtuosi rapporti di partenariato pubblico privato, e ha costretto gli enti locali a stravolgere i propri processi programmatori ordinari per inseguire le risorse del bando a prescindere dalle proprie reali necessità.

Inoltre, sono stati premiati i progetti “nel cassetto” impedendo il miglioramento della qualità progettuale, e si è finito per incentivare condotte ingannevoli favorendo un tipo di rapporto competitivo, piuttosto che cooperativo, tra autorità centrali eroganti ed enti locali.

Le indicazioni che emergono dalla ricerca di Ifel suggeriscono di valutare seriamente i programmi conclusi e in corso, di definire una strategia di intervento che sia “a regime” e non più “straordinaria” e di dotarsi di un’Agenda urbana che abbia delle chiare priorità nazionali e chiari obiettivi economici, sociali e industriali.

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