Con un articolo (link) sulla propria rivista online, che riportiamo integralmente, Legambiente ha preso posizione sulla querelle relativa all'aumento dei prezzi dei gas refrigeranti.
“Negli ultimi mesi, il costo dei gas refrigeranti che assicurano il funzionamento di frigoriferi e condizionatori dei negozi e di tutta la catena del freddo è salito alle stelle, arrivando a decuplicare. Secondo gli esperi del settore l’aumento dei prezzi metterebbe a rischio la funzionalità di tutta la filiera del freddo in Italia nel 2018 e la proposta che ne deriva, a coro unanime, è di rivedere il Regolamento europeo 517/2014: la normativa che regolamenta la progressiva scomparsa – una diminuzione del 48% nel 2018 – dei gas HFC. Si tratta dei gas che hanno sostituito la precedente famiglia, gli HCFC, che provocavano il buco dell’ozono: gli HFC, tuttavia, hanno il grave difetto di essere climalteranti fino a 15.000 volte di più della CO2. Questi gas, quindi, anche se da una parte ci hanno consentito di mantenere uno standard di vita alto, dall’altra causano anche un pericoloso ed invisibile inquinamento.
Legambiente respinge con forza l’idea di una modifica della normativa europea, una delle poche norme ambiziose che l’UE ha varato in questi anni per tutelare il clima, e ribadisce l’urgenza di procedere con la messa al bando di questi gas. Inoltre chiede che il prossimo governo approvi, tra i suoi primi provvedimenti, il Decreto ministeriale che implementa il Regolamento Europeo EN 517/2014 e norma alcune fattispecie relative al mercato dei gas refrigeranti, che da mesi è alla firma sul tavolo del Consiglio dei Ministri.
Ad oggi con la rapida crescita e diffusione della climatizzazione in ogni comparto, questi gas refrigeranti potrebbero incidere fino al 40% sulle emissioni climalteranti al 2050, con buona pace degli accordi di Parigi. Con il ritardo nell’applicazione del regolamento, si verrebbe dunque a creare un effetto a catena che travolgerebbe l’accordo di Kigali siglato recentemente e che unisce tutti i paesi del mondo in uno sforzo comune per eliminare progressivamente, entro il 2050, questi gas: un obiettivo fondamentale per i paesi in via di sviluppo, che vedono installare condizionatori e frigoriferi a ritmi sempre più rapidi mano a mano che aumenta il reddito pro capite.
Stupisce, soprattutto, la reazione degli addetti ai lavori: il regolamento è stato realizzato dopo ampie consultazioni delle aziende europee e italiana e in larga misura è tributario proprio delle loro esigenze: la proposta del Parlamento Europeo era, infatti, molto più ambiziosa. Stupisce soprattutto perché lo step di -48% nel 2018 non è un segreto per nessuno che operi in questo settore: eppure né da parte di grandi attori industriali, né da parte delle catene di supermercati – con lodevoli eccezioni – si è visto in questi anni un investimento neanche lontanamente adeguato ai cambiamenti che questo scenario impone.
Nel 2015 Legambiente ha tradotto in italiano e distribuito a tutte le principali catene distributive italiane il manuale di interpretazione del Regolamento curato da Eia international. In quel manuale e nei successivi rapporti “Chilling facts”, anch’essi distribuiti, è stato delineato lo scenario che attendeva le aziende della distribuzione del mondo del condizionamento in base ai calcoli presenti nel regolamento. EPEE ha, a sua volta, organizzato negli ultimi anni due seminari a Mestre dove ha presentato il proprio strumento “gapometer”, indicando con buona precisione le misure da adottare per mantenere il sistema della refrigerazione conforme alle previsioni del regolamento. Da tutti questi documenti si evinceva che, per raggiungere gli obiettivi, il numero di impianti di refrigerazione che andava sostituito o aggiornato con gas a basso impatto climalterante era di almeno dieci volte superiore al ritmo attuale.
Occorre dunque rimboccarsi le maniche: i cambiamenti climatici, non aspettano niente e nessuno e presentano ogni anno, in maniera sempre crescente e puntuale, un conto miliardario all’Europa e agli erari degli stati membri, sotto forma di disastri metereologici e crisi agricole. La messa in discussione del regolamento, e con esso l’inevitabile ridiscussione dell’accordo di Kigali, porterebbe ad una crescita della media della temperatura mondiale di circa mezzo grado.
In tutto questo, appare abbastanza evidente che a fare salire i prezzi non sono solo le previsioni di una scarsità di gas presente sul mercato: è in corso una politica di prezzi da parte dei produttori che ha dato adito a sospetti di speculazioni e accaparramenti: su questo CNA e Assofrigoristi hanno presentato un esposto all’autorità Garante della Concorrenza del Mercato perché indaghi su possibili pratiche di mercato sleali. In attesa che l’autorità si pronunci nel merito, non possiamo non notare che l’alto costo dei refrigeranti tradizionali spinge, inevitabilmente, il mercato dei nuovi prodotti brevettati dalle stesse aziende multinazionali, gli HFO, fino ad oggi non molto adottati dal mercato europeo. La ragione della cautela degli operatori verso quest’ultima famiglia di prodotti si spiega con il sospetto, alimentato da alcuni studi scientifici, che possano essere promotori di piogge acide e quindi, in futuro, anch’essi banditi.
Le recenti dichiarazioni di allarme di operatori tedeschi e di altri paesi sul costo e disponibilità dei gas fanno intuire che non si tratta di un fenomeno solo italiano. Non vorremmo che fosse in atto un tentativo di creare una insostenibile tensione sul mercato del freddo europeo con lo scopo ultimo di costringere la Commissione Europea a rivedere la norma per cause delle pressioni dei governi degli stati membri.”