Anche la legge Sblocca Cantieri (Legge 55/2019), approvata di recente, rischia di essere, pur con molte novità introdotte, una sorta di palliativo rispetto ad una situazione complessa. Negli ultimi 10 anni il livello di spesa pubblica per opere infrastrutturali sulle reti di collegamento si sono ridotte del 21%, un valore estremamente consistente con cui oggi occorre fare i conti. Nel 2018 gli investimenti in opere pubbliche continuano ad essere molto lontani dai livelli pre-crisi 2008 e sono pari a quasi 13 miliardi di euro, tanto quanto l’Italia spendeva agli inizi degli anni 2000. E’ quanto si legge in una indagine effettuata dal Centro Studi CNI presso gli ingegneri iscritti all’Albo.
E’ questo il frutto delle politiche di rientro del debito pubblico che fa dell’Italia uno dei Paesi europei industrializzati con la minore incidenza degli investimenti in infrastrutture di trasporto sul totale degli investimenti fissi.
Eppure registriamo la contraddizione che lì dove le risorse, seppure limitate, ci sono, non vengono spese. Il Ministero per le infrastrutture ed i Trasporti segnala che le grandi opere pubbliche incompiute sono oltre 600 per un valore di quasi 4 miliardi di euro. Si aggiungono piccoli cantieri, sparsi su tutto il territorio nazionale, che risultano bloccati, quasi sempre per contenziosi o perché in attesa di autorizzazioni da parte della Pubblica amministrazione.
Il problema della scarsità di risorse pubbliche per opere infrastrutturali – afferma Armando Zambrano, Presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri – è solo la punta dell’iceberg di una questione più complessa. Il Paese stenta a trovare una strategia in materia di infrastrutture. Oggi forse la vera questione non è chiedere maggiori risorse pubbliche ma utilizzare al meglio quelle esistenti. Le norme in materia di appalti tuttavia non aiutano ed è da qui che occorre ripartire per ritrovare la strada della crescita.
Molti dubbi vengono espressi dagli ingegneri in merito alle diverse misure introdotte dalla Legge 55/2019. L’opinione più diffusa tra i professionisti è che il ritorno all’appalto integrato o l’innalzamento della soglia per il subappalto o per l’affidamento di lavori diretti genereranno scarsi effetti se a monte non si procederà alla sostanziale semplificazione delle norme del Codice dei Contratti Pubblici. Norme troppo articolate diventano spesso inapplicabili. Il fatto che in Italia vi siano così tanti cantieri bloccati e così tante risorse sprecate, in un momento di crisi, è determinato in larga misura da procedure burocratiche che in parte occorrerebbe eliminare.
L’indagine realizzata dal Centro Studi CNI – prosegue Zambrano - sulla percezione degli ingegneri in merito alla Legge Sblocca Cantieri rivela un problema che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno sembra in grado di risolvere: ovvero la farraginosità, oltre che la sovrabbondanza, di norme che regolano le gare d’appalto. Più del 70% degli intervistati indica che il primo passo dovrebbe essere la semplificazione delle norme, altrimenti ogni misura di stimolo sarà solo un’arma spuntata. Anche il ritorno all’appalto integrato resta una questione molto controversa tra i professionisti. Il CNI ribadisce la propria contrarietà. Non possiamo lamentarci di opere incompiute e di costi che lievitano continuamente e poi ritornare ad un metodo che fa delle varianti in corso d’opera la propria ragion d’essere.
L’affidamento dei cantieri più complessi ai commissari speciali è una misura considerata risolutiva da appena l’11% dei professionisti; la sospensione delle norme più controverse del Codice dei Contratti Pubblici sarebbe utile solo per il 4% degli intervistati, così come l’istituzione di una struttura centrale per la progettazione, dipendente dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, è considerata come scarsamente efficace da più del 60% degli intervistati.
Infine, strumenti di partecipazione (come il débat publique francese) alle decisioni per la progettazione di una infrastruttura o l’analisi costi-benefici, possono avere qualche rilevanza nella scelta iniziale tra più opzioni possibili e concorrenti ma non possono divenire, secondo l’opinione degli ingegneri, uno strumento per ritornare sulla decisione di realizzare un’opera infrastrutturale già programmata e finanziata, o per deciderne di dettagli operativi.
Occorre andare al punto della “questione infrastrutturale” che riguarda il nostro Paese – afferma Giuseppe Margiotta, Presidente del Centro Studi CNI - e decidere se vogliamo cambiare passo o se vogliamo rimanere in una sorta di palude, dovuta più che alla crisi finanziaria ad una mancanza di visione strategica. Forte è l’impressione che negli ultimi 10 anni si sia tentato di rilanciare il settore delle opere pubbliche e delle costruzioni creando una serie di controlli che appesantiscono il lavoro delle stazioni appaltanti e che non aggiungono nulla alla qualità dell’azione pubblica. Abbiamo addirittura pensato di demandare la decisione se realizzare opere strategiche a metodi come l’analisi costi-benefici, strumenti che servono a comprendere meglio il contesto in cui si colloca un’opera pubblica ma che non sono strumento idoneo a decidere in un Paese come il nostro, che di converso non riesce ad incrementare la propria capacità competitiva. Giustamente gran parte degli ingegneri valuta questi strumenti come irrilevanti, non in sé, ma in relazione alla complessità della questione infrastrutturale oggi.
In allegato l'indagine