Le piogge di ieri in Liguria, particolarmente copiose durate la notte, e il nubifragio nella zona del Levante, hanno provocato danni, allagamenti diffusi e costretto le autorità a chiudere l’autostrada A12 nel tratto compreso tra Recco e Rapallo. Sono state chiuse anche alcune scuole dei comuni del Levante. A Lavagna una tromba d'aria ha scoperchiato due tetti in città spostandosi poi in mare. Nessun danno segnalato alle persone.
Arpal, l’agenzia per la protezione dell’ambiente ligure ha diffuso alle 13:36 il bollettino aggiornato evidenziando l’allerta arancione per le zone E e C nel Levante e allerta gialla per le altre zone A, B e D verso Ponente. Poco prima, alle 13:20, la regione Liguria era passata in fase operativa di pre-allarme relativamente per le zone arancioni evidenziando sia i livelli di criticità di allerta idrogeologica per temporali sia quelli di allerta idrogeologica/idraulica per piogge diffuse, ai sensi della delibera della giunta regionale N. 1116 DEL 23/12/2020 (https://allertaliguria.regione.liguria.it/). L’allerta durerà fino alle ore 18 di oggi per la zona C e fino alle 13 per la zona E. Successivamente entrambe le zone passeranno in allerta gialla, rispettivamente fino alle 23:59 e alle 15.
Italia, elevata esposizione al rischio alluvioni
In termini generali l'Italia è più esposta di molti paesi europei al rischio alluvioni per via del suo peculiare intreccio di caratteristiche meteo-climatiche, topografiche, morfologiche e geologiche, nel quale rientra anche il fatto che in caso di esondazioni l’acqua ha poco spazio per defluire. La spinta verso una forte espansione dei centri abitati e delle aree produttive e industriali che si è verificata negli ultimi decenni ha aggravato questa condizione di fragilità perché il consumo di suolo porta inevitabilmente a una riduzione dei terreni permeabili, quelli cioè che possono assorbire la pioggia. E parallelamente l’incremento delle aree urbanizzate, ha portato a un considerevole aumento dell’esposizione al rischio, in termini di beni e persone presenti in aree soggette a pericolosità per frane e alluvioni.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio di frane, alluvioni ed erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità per questo tipo di eventi. Se ci si focalizza sul rischio alluvioni la popolazione residente in aree a pericolosità idraulica elevata o media supera i 9 milioni di persone, a cui bisogna aggiungere oltre 12 milioni di persone che vivono in aree a pericolosità bassa.
La mappa del rischio idraulico
Per meglio identificare l’esposizione del territorio italiano a fenomeni alluvionali nel 2021 Ispra ha realizzato una mappatura che fornisce un quadro aggiornato secondo per i livelli territoriali amministrativi: nazionale, regionale, provinciale e comunale. Le aree caratterizzate da una pericolosità elevata e quindi soggette ad eventi con tempi di ritorno relativamente bassi, tra 20 e 50 anni, sono il 5,4% del territorio. Se si considerano anche le aree a pericolosità media, con tempi di ritorno tra i 100 e i 200 anni, si arriva al 10% del territorio nazionale. Se si sommano anche gli eventi ancora più rari, ovvero con tempi di ritorno superiori ai 200 anni, la percentuale si alza al 14% per il territorio nazionale.
Come ridurre il rischio idraulico
Per rischio idraulico si intendono gli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli idrometrici critici. A determinarlo sono la pericolosità idraulica, la vulnerabilità e il valore degli elementi esposti. La pericolosità è la probabilità che un evento di una certa intensità si verifichi in un determinato territorio in un certo arco di tempo e questo dipende da sia da fenomeni naturali che dall’effetto di interventi antropici. Sì perché come ha evidenziato Andrea D'Alpaos, professore del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova “una pianificazione non sempre attenta alle caratteristiche idrologiche del territorio ha portato ad aumentare la vulnerabilità della popolazione, degli edifici, delle infrastrutture e delle attività economiche”. In tal senso non giova di certo il fatto che ogni giorno in Italia secondo il rapporto Ispra vengono consumati 16 nuovi ettari di suolo per costruire nuovi edifici e fabbricati.
Per quanto riguarda le possibilità di ridurre il rischio idraulico le indicazioni che rimangono valide sono sostanzialmente quelle che già la commissione De Marchi aveva stilato dopo gli eventi del 1966 e presentato nel 1970. Si tratta sostanzialmente di interventi strutturali, come i bacini di laminazione o casse di espansione, oppure i diversivi come la galleria Adige-Garda in funzione già dal 1966 e la manutenzione degli argini per evitare fenomeni di formazione di brecce.
A tutto questo vanno però aggiunte anche le opere non strutturali che consentono di prevedere quando e con che intensità potrebbe avvenire un evento alluvionale, creando canali di comunicazione nella gestione di queste fasi emergenziali e mettendo così in sicurezza la popolazione.
In conclusione occorre una combinazione di interventi che passa necessariamente anche attraverso la formazione di tecnici esperti nel settore.