Con la Sentenza n. 5821, depositata il 6 febbraio 2019, la Corte di Cassazione (Sez. III) ha chiarito alcuni principi definitori dell’abuso edilizio, rigettando il ricorso relativo a una platea di cemento costruita in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, di cui il titolare rivendicava la natura di manufatto precario.
Anche l’immobile realizzato con materiali non abitualmente impiegati nella realizzazione di stabili costruzioni e facilmente rimovibile, se comporta una modifica dell’assetto del territorio, non può definirsi precario e richiede il permesso di costruire, poiché ciò che rileva è la sua obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti e limitate nel tempo.
Gli interventi edilizi precari (ora menzionati dall’art. 6 del d.P.R. 380/01 che, nell’attuale formulazione, li descrive, al comma 1, lett. e-bis) sono opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale.
L’opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull’assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo, e deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso.
LA TENUITÀ DEL DANNO. L’inammissibilità di una lettura soggettiva della giurisprudenza viene richiamata anche riguardo alla “tenuità del fatto”: il ricorrente contestava infatti che la Corte d’Appello non avrebbe considerato il fatto che l’opera in questione fosse stata demolita dallo stesso titolare e l’esiguità del danno. A questo proposito, la Corte di Cassazione asserisce che:
Il riferimento alle caratteristiche costruttive dell’intervento edilizio abusivo quale uno dei plurimi parametri di valutazione cui il giudice del merito deve fare ricorso per verificare la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non significa affatto che tale elemento non sia, da solo, sufficiente per escludere la particolare tenuità del fatto.
Tuttavia, l’eliminazione dell’opera abusiva, “attraverso la sua demolizione o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, implicando la cessazione della permanenza, può consentire, a condizioni esatte, l'applicazione della causa di non punibilità introdotta dall'art. 131-bis cod. pen.”