I produttori di calcestruzzo si sono dati appuntamento oggi a Roma negli spazi di Confindustria per discutere apertamente i temi della ristrutturazione del settore, tra cui il mercato e la dimensione dell’offerta, il credito e il rischio insolvenza, la cultura del prodotto calcestruzzo. Fanno da sfondo al confronto i dati contenuti del Rapporto Atecap 2016 che misurano quello che presumibilmente sarà il mercato futuro.
Il 2015 si afferma come il nono anno consecutivo di contrazione nei volumi prodotti di calcestruzzo preconfezionato che si attestano a 25.253.861 metri cubo segnando un dato di chiusura negativa a due cifre (-10,1%) rispetto all’anno precedente. Ciò trova spiegazione nel mancato rafforzamento, nell’anno 2015, della lenta risalita dell’economia italiana e nell’assenza di risorse concrete per il rilancio del settore delle costruzioni.
L’industria delle costruzioni è tornata ai livelli produttivi degli anni 60 e nel settore del calcestruzzo preconfezionato in nove anni si è perso quasi mezzo secolo di sviluppo, una perdita complessiva pari al 65,17% della propria produzione e in larga misura concentrata proprio negli ultimi anni.
In termini di volumi, la produzione di calcestruzzo passa da 72,5 milioni di metri cubi nel 2007 ad appena 25,2 milioni nel 2015, con una perdita di 47,3 milioni in otto anni, un calo di circa 6 milioni all’anno. Il calo produttivo registrato nel 2015 territorialmente si è manifestato con minore intensità nelle regioni meridionali.
A soffrire sono i principali driver del mercato del calcestruzzo preconfezionato, ovvero la nuova edilizia abitativa e le costruzioni non residenziali. In particolare nel 2015 gli investimenti in nuove abitazioni hanno subito una riduzione del -6% rispetto al 2014 mentre gli investimenti in costruzioni non residenziali privati e pubblici -1,2%.
Nonostante dunque la drastica contrazione del mercato l’Italia rappresenta comunque un player importante nel panorama europeo occupando il quarto posto sia in termini di produzione di calcestruzzo preconfezionato che di numero di addetti e il primo per numero di imprese e numero di impianti.
Diverso è lo scenario futuro, la previsione per la produzione di calcestruzzo preconfezionato per il 2016 è di +1,1%, dunque un rallentamento del calo di produzione che comunque significherebbe l’interruzione del trend negativo registrato ininterrottamente per nove anni.
Per l’Atecap anche se l’economia italiana registra cauti segnali e prospettive di crescita, la ripresa ancora non coinvolge pienamente il settore delle costruzioni e dunque il comparto del calcestruzzo preconfezionato.
Le prospettive di investimento future sembrano riguardare più il mercato del recupero, della manutenzione e della riqualificazione piuttosto che interessare gli investimenti in nuove abitazioni e le costruzioni non residenziali.
Altro segnale analizzato riguarda la razionalizzazione della struttura produttiva: a fronte di un dimezzamento della produzione circa 1 impianto su 10 è stato effettivamente chiuso, il numero degli impianti per ciascuna impresa è diminuito di circa il 10% mentre il numero delle imprese è rimasto pressoché invariato, mentre la produzione media per impianto si è quasi dimezzata attestandosi a 12.000 metri cubo circa del 2014, ovvero molto al di sotto della soglia di economicità di un impianto di betonaggio.
Questo conferma lo “stato di frustrazione” in cui versa l’industria del calcestruzzo preconfezionato italiana, una potenzialità produttiva che non riesce a trovare uno sbocco adeguato per la sua portata.
L’industria del calcestruzzo preconfezionato nel 2015 ha raggiunto il suo valore più basso in termini di volumi di produzione, per questo da alcuni anni ormai nel dibattito interno all’Associazione non si parla più di crisi ma di mutamento radicale del mercato. Chi produce calcestruzzo – commenta Atecap - si trova a fare i conti con un mondo nuovo, un mercato meno capiente rispetto a quello che ha fatto da scenario alla crescita economica degli anni passati in grado di assorbire meno della metà della capacità produttiva oggi attiva. È uno scenario in cui ancora non è chiaro come relazionarsi ma è certo che il settore deve assumere una diversa configurazione, ogni produttore deve rivedere scelte aziendali oggi non più attuali anche nell’interesse generale della categoria.