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Mercato elettrico: cresce la potenza installata da rinnovabili e cala quella da termoelettrico

Ma il 17% delle emissioni deriva ancora dal carbone secondo il report del Energy&Strategy management del Politecnico di Milano

mercoledì 23 novembre 2022 - Redazione Build News

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Da meno di 5 GW nel 2008 a più di 33 GW nel 2021: è la potenza installata di impianti fotovoltaici ed eolici nel nostro Paese (rispettivamente circa 22,5 GW e 11,3 GW), oltre la metà dei 60 GW totali da fonti rinnovabili. Praticamente la stessa capacità installata da termoelettrico, che invece nel 2012 era pari a 77 GW (anche se la riduzione è andata calando: -2,2 GW negli ultimi 5 anni), per il 77% da impianti alimentati a gas naturale e per il 17% da impianti a carbone, che andranno dismessi entro il 2025 (biomasse e impianti ad olio combustibile pesano il 3% ciascuno).

Il sistema elettrico italiano sta radicalmente cambiando la sua fisionomia ma siamo piuttosto lontani sia dagli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030 e al 2050 che dagli altri target “complementari”. È un quadro con luci e ombre quindi quello che emerge dall’Electricity Market Report 2022 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sesta edizione e presentato il 21 novembre in un dibattito con le aziende del settore. E questo nonostante la quota di domanda elettrica - circa 310-320 TW/h all’anno nell’ultimo decennio - coperta dagli impianti termoelettrici tradizionali si sia ridotta dal 74% nel 2005 al 51% nel 2021, così come le relative emissioni di anidride carbonica, calate di quasi il 50% tra il 2005 e il 2021 (da 144,6 a 74,3 Mton; ma il 2021 ha registrato un’inversione di tendenza dovuta al maggiore utilizzo di gas naturale), mentre la quota di domanda soddisfatta tramite fonti rinnovabili è cresciuta dal 14% al 36%.

“L’evoluzione delle tecnologie abilitanti, migliorate in maniera significativa negli ultimi anni, ci consente di essere ottimisti riguardo alla effettiva possibilità di raggiungere gli obiettivi di policy - conferma Simone Franzò, Responsabile dell’Osservatorio - ma allo stesso tempo non sarà facile per i diversi stakeholder disegnare un settore elettrico che al 2030 dovrà necessariamente essere molto diverso da oggi, anche provvedendo a ultimare un quadro normativo che risulta ancora incompleto sotto diversi aspetti. Una nota positiva però è rappresentata dallo spirito ‘collaborativo’ e ‘proattivo’ che si respira in questi mesi nonostante le difficoltà. Bisogna agire rapidamente, ma a mente fredda: le misure d’urgenza intraprese quando ormai non c’è altra scelta portano spesso a soluzioni non efficienti, mentre una corretta pianificazione per tempo (se l’espressione ‘per tempo’ ha ancora un senso a soli otto anni dal 2030) darà senz’altro risultati migliori”.

Tre degli strumenti necessari a governare la transizione del sistema elettrico sono oggetto di specifiche analisi nel Report: i sistemi di storage, l’apertura del Mercato dei Servizi di Dispacciamento e le Comunità energetiche.

I sistemi di accumulo a supporto della transizione

All’interno del rapporto viene analizzato il ruolo che i sistemi di accumulo di energia elettrica potranno svolgere nell’evoluzione del sistema elettrico, nei tre principali ambiti d’installazione - residenziale, commerciale e industriale, utility-scale (anche accoppiati a impianti di generazione) - e in funzionalità che vanno dall’energy-time shifting all’integrazione delle rinnovabili, all’abilitazione del customer energy management. Ognuna delle tecnologie di accumulo è più o meno adeguata a svolgere una data funzionalità, ma ad oggi esistono diverse alternative valide. In generale, le tecnologie di accumulo possono essere di tipo meccanico, elettromagnetico, elettrochimico e chimico: quelle maggiormente in uso attualmente sono di tipo elettrochimico (batterie a ioni di litio e a flusso di vanadio) e a pompaggio idroelettrico.

Per quanto riguarda il mercato, negli ultimi anni a livello europeo si è assistito a un fortissimo incremento delle installazioni di sistemi di accumulo elettrochimico, con più di 5 GW installati a fine 2022. Gli Stati che hanno registrato i numeri più alti sono Gran Bretagna e Germania, seguiti da Irlanda e Francia.

In Italia, a fine 2021 risultavano oltre 75.000 sistemi di accumulo connessi alla rete, in crescita del 130% rispetto al 2020. Le connessioni a fine giugno 2022 corrispondono a 720 MW di potenza per 1.362 MWh di capacità (ovvero un Energy-to-Power ratio medio pari a 1,9 h). Nei primi sei mesi del 2022 sono stati installati circa 47.000 SdA (+33% rispetto all’intero 2021), con forte prevalenza della tecnologia a ioni di litio, quasi unicamente di taglia residenziale per effetto del Superbonus 110%. Circa le installazioni di grande taglia, attraverso l’asta relativa al servizio di Fast Reserve, il 10 dicembre 2020, sono stati aggiudicati 250 MW di potenza di SdA che devono entrare in funzione entro la fine del 2022. Inoltre, l’asta del Capacity Market relativa al 2024 si è distinta per l’assegnazione di una larga fetta di CDP nuova in accumulo. In particolare, a livello nazionale è stato assegnato 1,1 GW di CDP in sistemi di accumulo elettrochimico, il 29,7% del totale.

Le attese per il futuro sono piuttosto importanti. Il Piano Nazionale Italiano per l’Energia e il Clima individua obiettivi al 2030 pari a 6 GW di accumulo centralizzato (utility-scale) fra elettrochimico ed idroelettrico (con rapporto tra capacità/potenza di 8h) e 4 GW di accumulo distribuito. Tuttavia, gli “scenari congiunti Terna-Snam” indicano che per essere in accordo con gli obiettivi del Fit-for-55 saranno necessari 94 GWh aggiuntivi di capacità di accumulo, in particolare 71 TWh relativi a installazioni utility-scale, 15 TWh a impianti distribuiti e 8 GWh già assegnati tramite il Capacity Market.

Quali sono le criticità? La risposta viene dagli stessi operatori del settore, consultati dall’Osservatorio: riguardo alla diffusione dei sistemi di accumulo, un primo problema è di tipo squisitamente economico, legato all’andamento del costo della tecnologia. La situazione geopolitica e gli effetti post-pandemia non ancora assorbiti, infatti, stanno avendo un impatto sulla disponibilità di risorse e sulla logistica, causando l’aumento dei prezzi anche degli storage elettrochimici, mentre tradizionalmente i costi delle batterie tendevano a decrescere. Questo problema si lega all’incertezza sui potenziali ricavi generati da un sistema di accumulo in futuro, in un mercato in rapidissima evoluzione, rendendo rischiosa una valutazione di investimento. Entrambi i temi puntano sulla principale criticità connessa alla diffusione dei sistemi di accumulo, ossia la sostenibilità economica degli investimenti, la quale, con l’attuale quadro normativo-regolatorio, potrà verosimilmente essere raggiunta attraverso il cosiddetto “revenue stacking”, ossia combinando diverse linee di ricavo.

Il processo di apertura del Mercato dei Servizi di Dispacciamento

A più di tre anni dall’avvio della sperimentazione sul Progetto Pilota UVAM, emblema del processo di apertura del MSD, è stato effettuato un bilancio dei risultati finora raggiunti: dopo un iniziale rodaggio da parte degli operatori, si è ben presto registrata una forte partecipazione che ha caratterizzato le prime due fasi del progetto. Tuttavia, durante la terza fase, nei primi mesi del 2022, l’adesione è calata soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi, testimoniato in prima battuta da una minore saturazione del contingente messo a disposizione nelle aste di approvvigionamento a termine, in particolare per il prodotto “serale 2”. 

Nel dettaglio, durante la prima fase (2019) si era vista una crescente partecipazione degli operatori alle aste che ha portato alla saturazione del contingente dal mese di ottobre, la quale ha determinato una diminuzione del prezzo medio ponderato nei mesi finali dell’anno (soprattutto in riferimento all’Area A). Anche nella seconda fase (2020) si è confermato il forte interesse: il contingente disponibile per l’Area A è stato infatti saturato già con l’asta annuale e un elevato livello di saturazione del contingente si è verificato anche nelle aste mensili di inizio 2021; il prezzo medio ponderato, di conseguenza, ha subito un ribasso rispetto al 2019 sia per le aste annuali/infrannuali sia per quelle mensili.

Nella terza fase (da maggio 2021 a settembre 2022) le aste sono state differenziate per tre prodotti: pomeridiano, serale 1 e serale 2. Le aste per l’assegnazione del prodotto pomeridiano e del prodotto serale 1 hanno visto un elevato livello di saturazione del contingente sia per l’Area A che per L’Area B (anche in questo caso, ciò ha determinato una riduzione del prezzo ponderato medio rispetto alla base d’asta) mentre per il prodotto serale 2,  caratterizzato dalla presenza di un “cap” di prezzo delle offerte da parte dei BSP pari a 200 €/MWh, non è stata assegnata nessuna quantità durante l’asta annuale e la partecipazione alle aste mensili nel 2022 è risultata minima, soprattutto per effetto della contemporanea crescita dei prezzi dell’energia.

L’evolversi del meccanismo dal punto di vista delle regole che lo caratterizzano ha determinato un impatto sulle caratteristiche anagrafiche delle UVAM: al 1° settembre 2022 risultavano abilitate 211 UVAM, in netto calo rispetto alle 272 di luglio 2021 (-22%). Anche il numero di POD coinvolti è sceso a 414, circa un terzo rispetto a luglio 2021. Come nelle precedenti rilevazioni, il 70% delle UVAM è composto da un unico POD, e sono diminuite le UVAM che aggregano numerosi POD.

Anche in termini di attivazione delle UVAM emergono diversi punti da sottolineare, primo fra tutti il fatto che negli ultimi due anni le “chiamate” hanno visto un forte incremento, anche escludendo quelle effettuate a scopo di test. Analizzando il periodo compreso tra agosto 2021 e luglio 2022, ad esempio, si evidenziano 1.315 ordini di dispacciamento inviati da Terna non a scopo di test, per circa 7 GWh in totale. Di questi, 1.243 si riferiscono ad ordini di dispacciamento “a salire”, mentre sono stati solo 72 gli ordini “a scendere” non a scopo di test.

Tuttavia, risultano peggiorate le performance della UVAM in risposta alle attivazioni rispetto a quanto registrato nel 2021: in quelle “a salire” si registrano circa 2.670 MWh di inadempimenti (il 38% delle quantità accettate) e nel 33% dei casi l’ordine di dispacciamento è stato eseguito fornendo almeno il 90% della quantità accettata, mentre nel 16% ci si è fermati il 70% e il 90%. Nell’11% dei casi l’ordine non è stato eseguito neppure parzialmente. Le attivazioni “a scendere” mostrano risultati migliori: forti inadempimenti solo nel 7% dei casi, mentre le altre chiamate presentano un’elevata quota di adempimento. In particolare, considerando le 72 chiamate non a scopo di test, nel 36% dei casi è stato fornito il 100% della quantità richiesta, nel 57% si è arrivati tra il 90% e il 100%. Numeri che, seppur da leggere nell’ambito di un progetto pilota, meritano un’opportuna riflessione.

Le energy community alla prova del recepimento delle direttive europee

Quello delle comunità energetiche in Italia è un tema molto sentito dagli operatori del settore ma che stenta a decollare, anche se si registra un certo fermento attorno agli strumenti di supporto per sviluppare e diffondere le configurazioni di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente e le comunità energetiche rinnovabili, a partire dai 2,2 miliardi di euro messi a disposizione a livello nazionale dal PNRR. Anche gran parte delle Regioni italiane (14) hanno già emanato dei provvedimenti e stabilito in che modo e con quale intensità intendano supportarne la diffusione: tra gli strumenti più comuni, agevolazioni per finanziarne la costituzione e la progettazione tecnico-economica, anche attraverso appositi servizi di consulenza per predisporre la documentazione e i relativi progetti.

Anche sulle comunità energetiche è stato raccolto il parere degli operatori, secondo i quali il primo ostacolo alla diffusione è certamente di carattere normativo: l’incertezza, infatti, ha portato ad attendere i provvedimenti definitivi prima di intraprendere iniziative concrete e allocare investimenti. Inoltre, è stata sottolineata la necessità di definire una procedura semplificata per la verifica dell'appartenenza dei membri alla medesima cabina primaria e di prevedere un ruolo di membri non controllanti per i player energy. Infine, gli operatori intervistati concordano sulle difficoltà operative per effettuare lo scorporo in bolletta.

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