“L’aumento delle compravendite, tornate ad attestarsi non distanti da quota 580 mila, nonché l’ennesima riduzione di intensità della flessione dei prezzi registrata sia nelle città maggiori sia in quelle intermedie, rappresentano il portato di una dinamica rialzista la cui intensità pare ora destinata a ridursi. L’entità della frenata dipenderà dall’efficacia delle misure di politica economica poste in essere, oltre che dalla disponibilità del sistema bancario a continuare ad assecondare la pulsione proprietaria delle famiglie italiane, anche in un contesto di maggiore precarietà reddituale” – è quanto emerge dal 1° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2019 di Nomisma presentato a Milano e che ha analizzato la congiuntura immobiliare italiana con uno specifico focus sulle seguenti città intermedie: Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno, Taranto, Trieste, Verona.
La dipendenza da mutuo e il mancato innesco di una spirale inflattiva, nonostante il costante incremento delle transazioni, costituiscono – secondo Nomisma – la manifestazione più eclatante della fragilità della dinamica espansiva in atto. È alle erogazioni di mutui che si deve guardare per individuare la principale determinante dell’ascesa del mercato immobiliare degli ultimi anni. Senza un diffuso ricorso all’indebitamento non sarebbe stato possibile, nella maggior parte dei casi, colmare l’ingente gap tra disponibilità patrimoniali e valori di mercato.
I mercati delle 13 città intermedie monitorati presentano una variabilità dei prezzi più contenuta rispetto alla distribuzione degli stessi sull’intero mercato italiano. Su base annua i prezzi delle abitazioni nei medi mercati hanno subito una riduzione dell’1,2%, mentre l’evoluzione dei canoni è prossima all’invarianza, con una variazione pari a -0,2% su base annua. Considerando invece gli immobili d’impresa il calo dei prezzi è leggermente più elevato, attestandosi nell’ordine del -1,5%. I canoni hanno seguito dinamiche simili ma in questo caso, a differenza del segmento residenziale, non si può ancora parlare di tendenziale stabilizzazione, bensì di ulteriore calo (anche se contenuto) nell’ordine dell’1%. I tempi di assorbimento delle abitazioni sono più variabili nei mercati minori che in quelli maggiori e si attestano nell’ordine dei 7,3 mesi. Sul fronte delle locazioni, invece, i tempi per affittare sono più bassi e convergenti nelle 13 città e si attestano in media intorno ai 2 mesi e mezzo.
Considerando la domanda di abitazioni nei mercati intermedi, si rileva una lieve prevalenza della ricerca di una casa di proprietà (52%) rispetto alla soluzione in affitto (48%). Tra le città monitorate si registrano comunque differenze di combinazione tra forme di possesso: si passa dal 30% di domanda di locazione registrato a Livorno e a Trieste, al 60% rilevato a Modena e a Verona. Non è un dato trascurabile quello relativo alla domanda che si rivolge all’opzione dell’affitto, confermando un’immagine di un Paese più mobile rispetto al passato, ma anche la presenza sul mercato di una domanda di utilizzo temporaneo in crescita essendo passata in un anno dal 12% al 16,3%.
Un’altra componente di domanda monitorata riguarda l’acquisto per investimento che, come era emerso nell’Indagine Nomisma sulle famiglie, nel 2018 era relativa al 15,4% delle manifestazioni d’interesse. Una quota pressoché analoga trova riscontro nei mercati delle città intermedie, dove la quota d’acquisto per investimento riguarda il 14,2% della domanda.
Gli effetti sul mercato del nuovo scenario macroeconomico sono difficilmente prevedibili, ma è indubbio un deterioramento sia del clima di fiducia degli operatori sia degli indicatori previsionali. Se sul versante delle compravendite si profila una sostanziale stabilizzazione dell’attività sui livelli del 2018, su quello dell’evoluzione dei prezzi l’agognato raggiungimento dell’invarianza risulta ulteriormente posticipato. A livello nazionale sembra, dunque, profilarsi una frenata nel processo di progressivo irrobustimento della crescita che caratterizza, ormai da qualche tempo, il settore residenziale.
L’insorgere di tensioni istituzionali prima e i riflessi di carattere finanziario che da esse sono scaturiti poi, rappresentano i principali fattori a cui ricondurre la flessione degli investimenti immobiliari corporate registrata lo scorso anno (dagli 11 miliardi del 2017 agli 8,6 del 2018) e l’attendismo che caratterizza i primi mesi di questo. A penalizzare il comparto ha contribuito l’accresciuta percezione di rischiosità del nostro Paese, scaturita dalla contrapposizione con la Commissione Europea sugli obiettivi in termini di rapporto deficit-PIL e acuita dal rallentamento economico in atto.
In attesa del superamento dell’impasse economico-finanziaria venutasi a creare, il mercato immobiliare evidenzierà nell’immediato un minore dinamismo rispetto all’evoluzione recente. Non si tratta di un’inversione ciclica, ma di una battuta d’arresto indotta da fattori esogeni che non pare in grado di pregiudicare la possibilità di ulteriore espansione a medio termine, sempre che i segnali di recessione economica, oggi ancora timidi, non tendano a rafforzarsi.