A lanciare l’allarme oggi sulle pagine del Sole24Ore è Regina De Albertis, Presidente di Assimpredil Ance (Associazione delle imprese edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza). A Milano si paventa “il fallimento dei costruttori locali, la sospensione degli interventi di bonifica, il blocco dei cantieri, anche di quelli di edilizia sociale e studentati, il licenziamento di migliaia di operai”.
Ricostruzione della vicenda
Tutto ha avuto origine, come spiega la collega Sara Monaci, dalle inchieste che la Procura di Milano sta conducendo su circa quaranta progetti nel capoluogo lombardo finalizzati a ricostruire palazzi superiori ai 25 metri. La tesi della Procura è che non sarebbe stato possibile avviare questi cantieri con una semplice autocertificazione, ai sensi della legge Ponte del 1967, bensì ci sarebbe stato bisogno di una nuova pianificazione del territorio, ovvero di un “piano attuativo”.
Gli imprenditori dal canto loro hanno fatto affidamento sulle norme contenute nel Codice dell’edilizia (Testo unico dell’edilizia del 2001 e successivi aggiornamenti) che prospetta invece una diversa interpretazione, stabilendo che è possibile definire semplice “ristrutturazione” e non nuova costruzione anche ciò che assume una “diversa sagoma”, purché si mantenga la stessa superficie costruita complessiva, e in ragione di questo si sarebbero avvalsi di una più semplice Scia, l’autocertificazione appunto.
Nelle more dei procedimenti giudiziari avviati, di cui tre inchieste sarebbero già state chiuse con l’accusa a vario titolo di lottizzazione abusiva, abuso d’ufficio e falso ideologico per funzionari, architetti e responsabili di cantiere, il Comune di Milano è intervenuto lo scorso febbraio con una delibera in cui sostanzialmente sposa la tesi della Procura, per tutelare i propri funzionari.
Quindi adesso a Milano per ricostruire grandi strutture, oltre 25 piani, è necessario un permesso che preveda da parte dei privati la realizzazione di servizi in convenzione con il pubblico oppure un nuovo piano attuativo, nei casi in cui l’area non sia urbanizzata e ci sia bisogno di implementare le infrastrutture. Un passaggio burocratico in più, quest’ultimo, che secondo i costruttori richiede tempi lunghi di attesa, da 3 a 4 anni e che fa crescere la preoccupazione in tutta la filiera, come evidenziato dalla presidente di Assimpredil Ance.
Come se ne esce
“È evidente – si legge sempre sul Sole24Ore – che sullo sfondo di questa storia ci sono la mancanza di chiarezza normativa e la difficoltà di fare una sintesi tra vecchie leggi urbanistiche e Testo unico dell’edilizia”. Quindi, a meno di non voler fare come Lorenzo Tramaglino, detto Renzo, che ha portato in dono quattro capponi all’Azzecca-garbugli, nell’illusione di poter risolvere i propri problemi, la soluzione auspicata è la decisione di un giudice o un intervento normativo del Legislatore che possa fare chiarezza e sciogliere i dubbi interpretativi. A beneficio evidentemente non solo della filiera produttiva.