Con la sentenza n. 5084/2015 depositata il 9 novembre, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dal proprietario di un negozio contro il Comune di Finale Ligure per la riforma di una sentenza del TAR Liguria concernente il rigetto della domanda per l’autorizzazione al cambio di destinazione d'uso dell'immobile.
In particolare, l'appellante è proprietario di un negozio di ca. mq 60 e dell’antistante cortile di dimensioni analoghe, al p.t. del fabbricato ricadente in zona ACR 4 (ambito di conservazione e riqualificazione) del piano urbanistico comunale – PUC vigente.
Il proprietario dichiara che tale negozio confina solo con il suo cortile, il quale, a sua volta, confina a S con la viabilità pubblica ed ai lati con proprietà di terzi e non è gravato da alcuna servitù pubblica o di pubblico passaggio.
Per il negozio, il proprietario chiese al Comune di Finale Ligure il rilascio di un permesso di costruire con cambio di destinazione d’uso da commerciale a residenziale e con opere interne. Il Comune respinse l’istanza perché, pur riconoscendo la natura privata dell’immobile, «… la porzione tra l’edificio e la strada è comunque da considerarsi di uso pubblico essendo evidentemente stata realizzata per favorire l’accesso al pubblico al negozio o ai negozi occupanti il piano terreno…».
DEFINIZIONE DI IMMOBILE PROSPICIENTE SU AREE O SPAZI PUBBLICI. I giudici del Consiglio di Stato osservano che “da un lato, è innegabile che detto negozio sia “prospiciente”, perché s’affaccia, guarda e prospetta sulla pubblica via senza alcuna barriera materiale interposta che escluda o limiti tutte o alcune di tali attività, sì da consentire al proprietario di guardare ed affacciarsi comodamente sulla strada e di vederla senza usare strumenti artificiali ed in tutte le direzioni che la linea d’orizzonte consente. Dall’altro lato – aggiunge Palazzo Spada - affaccio e prospetto non sono sinonimi di adiacenza, tant’è che, a seconda della conformazione fisica della veduta, la prospectio e l’inspectio si possono protendere al di là del fondo attiguo (o adiacente, che dir si voglia) e spaziare oltre, negli ovvi limiti della comodità della persona normale e senza l’ausilio di strumenti anomali. È appena da soggiungere – prosegue il Consiglio di Stato - che tali attività vanno accertate con riferimento al fondo dal quale la veduta si esercita e non già al fondo oggetto della veduta stessa, tant’è che per quest’ultimo si deve intendere una qualunque parte, anche minima o marginale, ma che possa esser guardata comodamente e con agevole (o non disagevole) affaccio”.
Non è quindi condivisibile l'argomento secondo il quale “per far scattare il divieto de quo, basterebbe una visione purchessia, anche da assai lontano, della strada pubblica”.