In riferimento al settore degli arredamenti d’interni, la sua tutelabilità sul piano del diritto d'autore - in base all’art. 2, n. 5 L.A. - “è unanimemente affermata dalla dottrina e confermata dalla giurisprudenza di merito che finora ha affrontato tale questione, laddove – come in generale nelle opere di architettura - la progettazione costituisca un risultato non imposto dal problema tecnico funzionale che l’autore vuole risolvere. In tale contesto il carattere creativo, requisito necessario per la tutela, può essere valutato in base alla scelta, coordinamento e organizzazione degli elementi dell’opera, in rapporto al risultato complessivo conseguito”.
Lo ha ricordato il Tribunale di Milano con la sentenza n. 11416/2015 pubblicata il 13 ottobre.
CONCETTO GIURIDICO DI CREATIVITÀ. “In via generale – spiega la sentenza - il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento l'art. 1 L.A., non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un'oggettività appartenente alle categorie elencate negli artt. 1 e 2 L.A.
In tale contesto un'opera dell'ingegno riceve protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l'opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia? inoltre, la creatività non è costituita dall'idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione”.
CONTRAFFAZIONE. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità “l'elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest'ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell'opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo, ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un'elaborazione dell'opera originale con un riconoscibile apporto creativo? ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d'impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell'impresa, ma la riproduzione illecita di un'opera da parte dell'altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l'opera originaria”.
CONCORRENZA SLEALE PARASSITARIA. “L’ipotesi di concorrenza sleale parassitaria di cui all’art. 2589 n. 3 c.c. è una fattispecie di illecito concorrenziale che la dottrina nello svilupparne e definirne l’ambito ha ritenuto di individuare sostanzialmente nella condotta di quell’imprenditore che pone in essere un’imitazione sistematica delle iniziative imprenditoriali del concorrente, che possono comprendere l’imitazione dei prodotti, delle modalità di pubblicizzazione, delle tecniche di commercializzazione ecc.
In tale ipotesi ciò che rileva non è la confondibilità che intervenga sul prodotto in sé – che dovrebbe essere invece profilo rilevante nell’ipotesi di cui all’art. 2598 n. 1 c.c. in relazione agli specifici presupposti propri di tale fattispecie – quanto piuttosto il fatto che detta condotta costituisca il mezzo per determinare uno sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui, così determinandosi su tale piano la violazione dei principi di correttezza professionale che integrano la concorrenza sleale.
È stato altresì rilevata – aggiunge il Tribunale di Milano - la particolarità di tale ipotesi di illecito concorrenziale, che si fonderebbe su di una pluralità di elementi imitativi che presi singolarmente ed indipendentemente dal contesto e dalla relazione con gli altri elementi della fattispecie non costituirebbero per se stessi un illecito confusorio.
Essa si manifesta dunque attraverso una pluralità di condotte che danno vita ad un illecito unitario che integra uno sfruttamento sistematico del lavoro altrui, che può cronologicamente svolgersi sia mediante successivi comportamenti imitativi delle iniziative e dei prodotti altrui che mediante una serie di comportamenti simultanei che possano tutti ritenersi e manifestarsi in maniera univoca ed in quantità significativa come rivolti al perseguimento del medesimo illecito fine”.
La giurisprudenza della Cassazione “ha in particolare affermato che laddove sussistano una pluralità di atti succedentesi nel tempo, diretti tutti ad una continua e ripetuta imitazione delle iniziative del concorrente ovvero nello sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui – siano essi comportamenti ripetuti che simultanei l'imitazione può considerarsi illecita, ai sensi dell'art. 2598 n. 3 c.c., soltanto se effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente o dall'ultima e più significativa di esse, dovendosi intendere per "breve" quell'arco di tempo variabile a seconda dei prodotti e delle condizioni del mercato in cui vengono immessi per tutta la durata del quale l'ideatore della nuova iniziativa ha ragione di attendersi utilità particolari dal lancio della novità e cioè fino a quando essa è considerata tale dal pubblico dei clienti e si impone, quindi, alla loro attenzione nella scelta del prodotto”.