Aumentano anche nel 2018 le cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Lo segnala Confedilizia, che ha elaborato i dati resi noti dall’Agenzia delle entrate sullo stato del patrimonio immobiliare italiano.
Nel 2018, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 5,3% rispetto al 2017. Ma il dato più eclatante è quello che mette a confronto il periodo pre e post Imu: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono raddoppiati, passando da 278.121 a 548.148 (+ 97%). Con tutte le immaginabili conseguenze in termini di degrado delle aree su cui insistono.
Si tratta – rileva Confedilizia – di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo o, addirittura, per effetto di atti concreti dei proprietari finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu e della Tasi (ad esempio, attraverso la rimozione del tetto). Va infatti ricordato che sono soggetti alle due imposte patrimoniali persino gli immobili ‘inagibili o inabitabili’, anche se il vicepresidente del Consiglio Salvini – su richiesta di Confedilizia in occasione della riunione con le parti sociali – si è impegnato a eliminare questa iniqua forma di tassazione, così come quella degli immobili sfitti. Misure indispensabili e urgenti oltre a quelle di incentivo alla riqualificazione degli edifici e alla loro immissione sul mercato.
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