Con la sentenza n. 73/2017 depositata il 12 aprile, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 42 e 44, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016).
Le disposizioni contenute negli artt. 42 e 44 della legge impugnata sono qualificate dal legislatore regionale norme di interpretazione autentica. Mirano, in particolare, a fornire il senso, vincolante per l’interprete, da assegnare ad alcune disposizioni contenute nella legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente).
L’art. 42 della legge regionale n. 5 del 2016 avrebbe il compito di offrire l’effettivo significato da ascrivere alla locuzione «edifici esistenti» contenuta nel comma 1 dell’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009. In particolare, in forza della norma censurata, il disposto del citato art. 3, nella parte in cui si riferisce agli «[…] interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, autorizzati o condonati, con aumento della superficie complessiva entro il limite max del 30%», realizzati, in deroga agli strumenti urbanistici, per le finalità di cui all’art. 1 della stessa legge n. 25 del 2009 e nell’ottica di promuovere «[…] il rinnovamento e la sostituzione del patrimonio edilizio esistente realizzato dopo il 1942 che non abbia un adeguato livello di protezione sismica rispetto alle norme tecniche vigenti o che non abbia adeguati livelli di prestazione energetica», deve essere «[….] interpretato con continuità temporale nel senso che: “tra gli edifici esistenti sono ricompresi anche gli edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità”».
Il Governo ha impugnato anche l’art. 44 della legge regionale in esame, i cui primi due commi si pongono in evidente continuità con la disposizione di cui all’art. 42. Con tali commi si afferma di voler procedere ad una interpretazione autentica rispettivamente relativa ai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 8 della legge n. 25 del 2009, disposizione, quest’ultima, diretta a regolare il profilo inerente i titoli abilitativi strumentali agli interventi edilizi previsti dalla stessa legge regionale del 2009. In particolare, si precisa che le previsioni relative a tali due commi, immediatamente inerenti le opere di ristrutturazione con demolizione e successiva ricostruzione, considerate dall’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009, devono ritenersi applicabili «[…] anche agli edifici in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità, compreso quelli aventi ad oggetto nuove costruzioni, così come definito dal D.P.R. n. 380/2001».
Infine, con il terzo comma dell’art. 44 della legge impugnata si qualificano in termini di interpretazione autentica tutte le modifiche apportate alla legge regionale n. 25 del 2009 dalla legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2015) in quanto ritenute di «[….] esplicitazione dell’interpretazione normativa del combinato disposto di quanto stabilito nel D.P.R. n. 380/2001 […] e nella legge regionale n. 25/2009 [… ]».
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CONSULTA. Secondo la Corte costituzionale, “diversi indici portano ad escludere che alle disposizioni in questione possa ascriversi natura di norme di interpretazione autentica.
Prendendo le mosse dall’art. 42 della legge regionale impugnata, va subito ribadito che gli interventi edilizi presi in considerazione dall’art. 3 della legge n. 25 del 2009, in linea con le connotazioni complessive della stessa, sono destinati al patrimonio edilizio esistente: le relative deroghe volumetriche, assentite rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, limitate nel tempo perché straordinarie, trovano una ragion d’essere nella finalità di adeguare dal punto di vista antisismico ed energetico realtà immobiliari preesistenti fatte oggetto di ricostruzione previa demolizione.
Utilizzando l’espressione «edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di un titolo abilitativo in corso di validità», che la disposizione interpretativa vorrebbe ascrivere come contenuto della disposizione interpretata, si intendono, dunque, le demolizioni con ricostruzione in corso di realizzazione alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 25 del 2009; ma il significato che il legislatore regionale ha deciso di imporre con l’intervento normativo contestato coincide con quello in precedenza espresso dal tenore originario della norma interpretata, prima di venire modificata sul punto dall’art. 4 della legge della Regione Basilicata 3 dicembre 2012, n. 25, recante «Modifiche alla legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), alla legge regionale 11 agosto 1999, n. 23 (Tutela, governo ed uso del territorio), alla legge regionale 7 agosto 1996, n. 37 (Procedure per l’approvazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali), alla legge regionale 27 luglio 1979, n. 23 (Disciplina transitoria delle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici di attuazione), in attuazione dell’art. 5 comma 9 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106».
Appare pertanto evidente che si tratta di una reintroduzione del medesimo significato in precedenza espunto dallo stesso legislatore regionale: il relativo intervento normativo, dunque, non può avere altra natura che quella della innovazione.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in riferimento ai primi due commi dell’art. 44 della legge impugnata, i quali non solo ribadiscono che gli edifici interessati dai relativi interventi sono anche quelli «in fase di realizzazione», ma precisano, altresì, che questi ultimi possono avere ad oggetto anche «nuove costruzioni», individuate in termini coincidenti con la definizione all’uopo espressa nel TUE.
Una lettura complessiva delle tre citate disposizioni, favorita dal comune denominatore di riferimento, induce, quindi, l’interprete a ritenere che con l’intervento normativo in questione il legislatore, avuto riguardo agli interventi edilizi di cui all’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009, ha inteso assegnare alla locuzione «edifici esistenti» un significato comprensivo anche degli interventi aventi ad oggetto «nuove costruzioni». Esegesi, questa, che conferma il carattere innovativo della norma in questione, giacché vengono evocate categorie di intervento edilizio che, nella loro massima espansione, hanno un contenuto non coerente con la ratio sottesa alla legge regionale in oggetto.
Infine, guardando anche al comma 3 dello stesso art. 44, non può non rimarcarsi che le modifiche apportate alla legge regionale n. 25 del 2009 dalla legge regionale n. 4 del 2015, cui si fa riferimento nella disposizione censurata, non hanno interpretato, ma solo innovato la pregressa disciplina. La stessa previsione in blocco e indistinta del riferimento alle disposizioni della detta legge del 2015 svela, infatti, l’effettiva intenzione perseguita con la norma censurata: spostare nel tempo il portato delle modifiche introdotte nel 2015 sino a ricondurle alla data di entrata in vigore della legge n. 25 del 2009”.
In conclusione, per la Consulta “il confronto tra le disposizioni regionali censurate ed i principi costituzionali più volte richiamati da questa Corte porta alla conclusione che le stesse non solo non possono essere ritenute interpretative, nel senso prima chiarito, ma ledono, oltre alle norme della legislazione statale in materia edilizia, il canone generale della ragionevolezza ex art. 3 Cost., correttamente evocato dal ricorso, con ulteriori, potenziali, ricadute in ordine alla effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio a tutela dei propri diritti (art 24, primo comma, Cost.) nonché in punto alla integrità delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giurisdizionale (art. 102 Cost.)”.
In allegato la sentenza