La riforma della disciplina sugli appalti pubblici, prevista dalla recente legge delega per il recepimento delle nuove direttive “appalti e concessioni”, ha dato avvio a un ampio dibattito, orientato soprattutto dalle strategie di lotta alla corruzione, nell’ambito del quale è necessario prestare maggiore attenzione al ruolo più attivo e professionale da riservare alle stazioni appaltanti.
In proposito, la Banca d'Italia ha pubblicato il documento “La riforma delle stazioni appaltanti. Ricerca della qualità e disciplina europea”, a cura di Luigi Donato, che si sviluppa attraverso un’analisi d’insieme delle stazioni appaltanti italiane, il quadro normativo nazionale, le indicazioni della giurisprudenza, i principi organizzativi necessari per realizzare un sistema di qualità dell’attività di public procurement, il confronto internazionale, le prospettive offerte dal recepimento delle nuove direttive.
LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO
“Il panorama che si va delineando nel campo degli appalti pubblici è di ampie trasformazioni. Si affacciano nuovi attori, quali le grandi centrali di committenza e i soggetti aggregatori, che dovranno dimostrare di avere le capacità richieste e di essere all’altezza dei compiti loro assegnati, anche nell’ambito di una rinnovata discrezionalità. Nascono nuove strutture per il procurement e nuove forme di collaborazione con il settore privato. Una maggiore apertura a livello internazionale sembra ormai un obiettivo raggiungibile.
In questo scenario è anche ben chiara l’importanza del settore degli appalti pubblici a fini di crescita economica, di offerta di servizi di qualità da parte della macchina pubblica, di contrasto alla corruzione e agli sprechi.
La strada da percorrere è ancora lunga e in Italia il trade-off tra regole ed efficienza è difficile da fissare. Però il clima è cambiato; l’opportunità offerta dal ruolo pragmatico dell’ANAC e l’occasione del recepimento delle direttive costituiscono le premesse per indirizzare anche il sistema italiano verso il buon funzionamento del procurement pubblico.
INDISPENSABILE UNA STRETTA INTEGRAZIONE TRA PRINCIPI GIURIDICI E PRINCIPI ORGANIZZATIVI. Una considerazione di metodo sembra opportuna. Nel campo del public procurement, forse anche più che in altri settori, è indispensabile una stretta integrazione tra principi giuridici e principi organizzativi. In quanto attività economica, il procurement va valutato per i risultati conseguiti. E risultati positivi si ottengono solo seguendo percorsi di efficacia e di efficienza che sono ben delineati nella prospettiva organizzativa, come è stato ricordato nei precedenti capitoli 4 e 5. Inoltre, i richiamati principi di qualità dei processi hanno anche il pregio di indicare con un approccio concreto e immediatamente percepibile da parte degli operatori quali sono i modi corretti di operare e quali sono quelli distorti per infedeltà o per opportunismo.
LEGGE DELEGA APPALTI: CRITERI DI QUALITÀ ED EFFICIENZA DELLE STAZIONI APPALTANTI. Con riferimento proprio alla capacità delle stazioni appaltanti di autodisciplinarsi, la stessa legge delega per il recepimento delle direttive “appalti”, come ricordato, prevede espressamente, tra i principi e criteri direttivi, che la razionalizzazione della spesa possa avvenire anche “attraverso l’applicazione di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione delle stazioni appaltanti, prevedendo la riorganizzazione delle funzioni delle stazioni appaltanti, con particolare riferimento alle fasi di programmazione e controllo, nonché prevedendo l’introduzione di un apposito sistema, gestito dall’ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso a valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa, sulla base di parametri obiettivi”.
La netta riduzione delle stazioni appaltanti, se accentrerà la gestione delle gare e degli acquisti in strutture professionalmente attrezzate, non farà comunque venir meno la necessità di accrescere la professionalità di tutte le amministrazioni: ad esse resteranno infatti sia la fase di individuazione dei bisogni da soddisfare sia quella del controllo dell’esecuzione dei contratti. In particolare, i parametri per la qualificazione potrebbero essere ricondotti all’organizzazione interna, all’esistenza di strutture tecniche e al grado di compliance con gli oneri di trasparenza e con le best practices; o ancora, secondo un modello già adottato da alcune stazioni appaltanti, anche al conseguimento della “certificazione di qualità”, che si basa su un controllo interno effettuato su benchmark ufficiali e standardizzati a livello europeo.
Le possibilità sono molteplici ed è auspicabile che, progressivamente, la valutazione della qualità delle stazioni appaltanti diventi un punto chiave del sistema di public procurement.
In un panorama come quello italiano, in cui la pubblica amministrazione è composta da un gran numero di soggetti, organismi e apparati profondamente disomogenei tra loro, non tutte le stazioni appaltanti sono (e saranno mai) uguali, in termini non solo di dimensioni ma anche di competenze giuridiche e tecniche (aspetto peraltro ben noto al legislatore che, come ricordato, ha da ultimo inibito ai Comuni di ridotte dimensioni la possibilità di espletare autonome procedure di spesa). Necessario, quindi, il richiamo al principio di proporzionalità delle regole.
Se da una parte diventa di fondamentale importanza, soprattutto a fini di prevenzione, promuovere la professionalità del buyer pubblico, dall’altra è noto che, soprattutto in un momento storico in cui le risorse pubbliche scarseggiano, non tutte le amministrazioni sono oggettivamente in grado di investire nel potenziamento delle competenze e degli strumenti di acquisto.
La stessa certificazione di qualità, che potrebbe rendere meno gravoso anche il controllo esterno dell’Autorità di settore e semplificare i procedimenti di spesa per la stazione appaltante, comporta un investimento in termini di risorse, soprattutto umane, che non tutte le amministrazioni possono sostenere, anche in relazione al volume, molto differenziato, delle procedure di appalto espletate.
VALORIZZARE LE STAZIONI APPALTANTI CHE MOSTRANO UN ELEVATO LIVELLO DI PROFESSIONALITÀ. In ragione di ciò, sembra razionale che la disciplina tenda a valorizzare quelle stazioni appaltanti che mostrano un elevato livello di professionalità, dotandosi di adeguati e non formali sistemi di autoregolamentazione e autocontrollo capaci di garantire la trasparenza e l’efficienza del processo di spesa, e non solo di documenti programmatici. Si tratta di puntare su incentivi e quindi su una regolamentazione proporzionata al livello di rischio che deriva, a sua volta, dagli anticorpi organizzativi propri di ciascuna struttura. Per altro verso, in un sistema più articolato la stessa ANAC verrebbe in parte alleggerita nel peso dei nuovi, impegnativi, compiti di vigilanza a 360 gradi che il legislatore intende attribuirle.
È di tutta evidenza che un tale percorso di riforme, calibrato sull’obiettivo di far crescere la professionalità e la qualità, deve essere contestualmente bilanciato da una accresciuta responsabilità del committente pubblico.
L’evoluzione in corso troverà quindi maggiori resistenze proprio tra gli operatori pubblici meno virtuosi. Da una parte, infatti, come ricordato, nel sistema italiano ha finora prevalso la diffidenza nei confronti delle amministrazioni, dall’altra bisogna anche considerare che i vincoli formali hanno rappresentato uno schermo dietro il quale celare comportamenti opportunistici o infedeli.
Con una citazione cinematografica, può semplificarsi che “with great power comes great responsibility”.
E’ questo probabilmente il vero banco di prova della lunga marcia di riforma delle stazioni appaltanti: l’assunzione piena di responsabilità, soprattutto con riguardo ai risultati; ciò anche se la responsabilità si declina, in concreto, pur sempre in relazione ad un potere disciplinato dalle norme e bilanciato da controlli interni e esterni.
La domanda finale è se si possa continuare a credere che sia possibile surrogare buoni amministratori e uffici efficienti facendo leva soprattutto su un accurato impianto di regole e sulla giurisprudenza, invece di puntare su professionalità e responsabilità delle stazioni appaltanti.
Difficile e, anche, déjà-vu”.