Con l'ordinanza n. 159/2019, il Tar Veneto ha giudicato rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, l. reg. Veneto 16 marzo 2015, n. 4, nella parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001.
L’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che le Regioni determinino i criteri per il calcolo di tale componente del contributo di costruzione e definisce i parametri a cui il Legislatore Regionale deve far riferimento: il contributo per il costo di costruzione deve costituire una quota del suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento, variabile in funzione delle caratteristiche, delle tipologie, della destinazione e dell’ubicazione delle costruzioni.
Il Legislatore Veneto ha dato attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, sostituendo con il comma 1 dell’art. 2, l. reg. 16 marzo 2015, n. 4 la tabella A4 della l. reg. n. 61 del 1985. Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri si applichino anche “ai procedimenti in corso relativi ai permessi di costruire nei quali il comune non abbia ancora provveduto a determinare la quota del costo di costruzione”. Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della l. reg. 27 giugno 1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”) prevedeva un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva dato attuazione all'art. 6, comma 3, l. reg. n. 10 del 1977 che, nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui all'art. 9, comma 6, d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1982, n. 94), senza prevedere un’aliquota minima, stabiliva che il contributo afferente al costo di costruzione fosse determinato in misura percentuale non superiore al 10%.
Successivamente, con l'art. 7, comma 2, l. 24 dicembre 1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale aveva già modificato il parametro, prevedendo che il contributo fosse determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il venti per cento del costo di costruzione, così riportandolo alla cornice prevista dalla formulazione originaria dell’art. 6, comma 3, l. 28 gennaio 1977, n. 10. Il Legislatore Veneto, tuttavia, non aveva apportato modifiche alla tabella A4 della l. reg. 27 giugno 1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria formulazione.
Ha quindi affermato il Tar che l’art. 2, comma 3, l. reg. n. 4 del 2015 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo. Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli esiti dell’elaborazione giurisprudenziale circa l’assetto dei rapporti tra norma statale e norma regionale nella materia della determinazione del contributo afferente al costo di costruzione. Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta fermo” quanto determinato in diretta applicazione dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, ma soltanto se tale determinazione sia stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo (“Resta fermo quanto già determinato dal comune (…) in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”). Quale che sia il presupposto in forza del quale il Legislatore si sia determinato ad esprimersi in tale forma, comunque, al contenuto dispositivo della norma sembra doversi attribuire portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del contributo quantificati in base alla norma statale contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della l. reg. n. 4 del 2015. Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del testo normativo di fonte regionale che ha dato attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, essa non può applicarsi alle determinazioni del contributo successive all’entrata in vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le nuove aliquote. Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni” già avvenute (quindi ai titoli già rilasciati) per affermare che quelle effettuate dando diretta attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, restano ferme – e quindi potranno essere fatte valere e portate ad esecuzione – solo se contestuali al rilascio del titolo. Il contenuto precettivo della disposizione appare integralmente definito in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la sorte delle “determinazioni” effettuate sulla scorta dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 (che “restano ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta della legislazione regionale (che non potranno essere integrate). Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”, appare una semplice specificazione di un concetto già compiutamente espresso con la locuzione che la precede e, pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio successive alla sua entrata in vigore. Il tenore precettivo della disposizione – che consente di far valere solo le determinazioni direttamente attuative della norma statale effettuate contestualmente al rilascio del titolo – resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale specificazione. D’altronde una diversa soluzione interpretativa – che la difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi – appare incompatibile con la natura non autoritativa riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a quelli con i quali tale determinazione venga modificata. Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma. Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti alla sua entrata in vigore. Da tutto quanto sopra, emerge la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma nel presente giudizio.
In allegato l'ordinanza del Tar Veneto