Che le si voglia considerare come una gaffe, o come un’efficace sintesi comunicativa della crisi che stiamo vivendo, le parole pronunciate ieri da Mario Draghi in conferenza stampa hanno tutte le carte in regola per diventare un tormentone politico, nel bene e nel male. “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Se l'Ue ci propone l'embargo sul gas, siamo contenti di seguire. Quello che vogliamo è lo strumento più efficace per la pace. Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace”.
Il binomio “pace o condizionatore” ha catalizzato l’attenzione dei media con un’infinita variazione di titoli e giochi di parole, anche a scapito del contesto più generale in cui questa stessa alternativa è stata presentata. Illustrando i contenuti del DEF appena approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio ha affrontato il tema di un ipotetico stop alle forniture del gas russo. Ipotesi prospettata anche all’interno dello stesso DEF, e con effetti economici poco piacevoli: l’impatto sul Pil potrebbe andare dallo 0,8 al 2,3% nel 2022, con un raddoppio dei costi dell’energia nello scenario meno favorevole. Abbastanza per azzerare la crescita – già rivista al ribasso rispetto alle previsioni dello scorso settembre – e prospettare l’incubo della recessione.
Per questo l’Italia, come la Germania, non è tra i Paesi europei che spingono maggiormente per un’estensione al gas delle sanzioni alla Russia. Ma neanche può permettersi di frenare, specialmente dopo le immagini dei massacri di civili nelle città occupate dall’esercito russo come Bucha. Il discorso di Draghi, impregnato di realpolitik, è questo:
Se l’Ue ci propone l'embargo sul gas, siamo contenti di seguire.
Di qui l’alternativa tra la pace e il condizionatore acceso. Che significa, in sostanza, che senza gas saremo costretti a ridurre i consumi e, in una certa misura, anche il nostro tenore di vita.
Lo stesso Draghi però ha anche detto che l’ipotesi, per il momento, non è sul tavolo, e potrebbe non esserlo mai. In più, anche senza il gas russo le forniture e le riserve attuali permettono di stare tranquilli “fino a fine ottobre”: “Le conseguenze non le vedremmo fino all’autunno”. Per il momento, insomma, possiamo lasciare il condizionatore al suo posto e non sentirci costretti a ricorrere al ventaglio, nella torrida estate che ci aspetta. La domanda posta da Draghi, però, suscita alcune riflessioni in più che è utile sviluppare, soprattutto per chi opera nell’edilizia.
Perché proprio il condizionatore?
Dai report periodici di Assoclima sappiamo che la domanda di apparecchi per il raffrescamento dell’aria – includendo anche le pompe di calore, che possono essere utilizzate sia in estate sia in inverno – è in continua crescita, anche grazie agli incentivi fiscali per le ristrutturazioni. Sappiamo anche che gli apparecchi di ultima generazione offrono performance impensabili, fino a poco tempo fa, sul piano dell’efficienza energetica e dei consumi.
Eppure, il condizionatore viene ancora considerato come un bene superfluo ed energivoro per eccellenza. Non è un caso che Draghi abbia citato il condizionatore e non, per esempio, la lavastoviglie o l’asciugatrice.
Al Presidente del Consiglio potremmo quindi contestare una visione un po’ antiquata non solo dell’efficienza energetica in edilizia, ma anche del comfort domestico, interpretato come “bene accessorio” e non come un diritto di base da estendere il più possibile anche a chi attualmente non può permetterselo — in un Paese in cui la povertà energetica colpisce quasi il 9% delle famiglie — specialmente a fronte dei cambiamenti climatici, che rendono sempre meno vivibili le grandi città interessate dalle ondate di calore estive.
Il condizionatore non è uguale per tutti
Prospettando l’alternativa “pace o condizionatore” Draghi si è rivolto alla totalità indistinta dei cittadini italiani, ma è evidente che il “condizionatore” non è uguale per tutti. Non solo perché, come abbiamo detto, non tutti possono permetterselo: anche tra chi ne possiede uno l’impatto dei maggiori costi dell’energia non sarà ripartito in maniera uguale, ma cambierà ovviamente in base al reddito e alle disponibilità familiari.
Per questo non si tratta di una reale scelta binaria, o almeno non per tutti: qualcuno sì, sarà costretto a rinunciare al proprio benessere abitativo perché diventerà insostenibile, ma altri potranno continuare a permetterselo — aumentando le disuguaglianze e spingendo il comfort domestico e la qualità dell’aria indoor verso l’area dei beni di lusso, in assenza di un deciso intervento del Governo orientato ad appianare queste differenze, con una ripartizione dei costi della crisi proporzionalmente ai redditi e alle ricchezze.
Affrontare la transizione ecologica
In ogni caso, le parole di Draghi hanno avuto il merito di mettere l’opinione pubblica davanti all’evidenza del fatto che la crisi economica innescata dall’invasione russa in Ucraina rischia di mettere in discussione il nostro stile di vita, i nostri consumi, le nostre abitudini. Rassegnarsi a una “regressione”, però, non può essere l’unica risposta.
L’economia “di guerra” impone di fare scelte e rinunce, ma l’Italia — con tutta l’Unione europea — dovrà avere il coraggio di trasformare questa crisi in opportunità, accelerando fortemente sulla transizione ecologica e sull’indipendenza degli approvvigionamenti energetici. Solo così, in futuro, potremo avere la pace e il condizionatore acceso — a patto che sia un modello in classe A+++ e con gas refrigerante ecologico.
Sebastian Bendinelli