Con alcune sentenze pronunciate in data odierna, il Tribunale dell’Unione europea ha confermato interamente i dazi definitivi antidumping e antisovvenzione per le importazioni di pannelli solari in provenienza dalla Cina, fissati dal Consiglio Ue.
Il 2 dicembre 2013, il Consiglio ha istituito dazi antidumping definitivi sulle importazioni di pannelli solari e di loro componenti essenziali di origine e in provenienza dalla Cina. Un’indagine condotta dalla Commissione nel 2012 e nel 2013 aveva infatti evidenziato che alcuni pannelli solari cinesi erano venduti in Europa ben al di sotto del loro valore normale di mercato. I dazi sono stati istituiti per attenuare il danno causato all’industria europea da questa pratica commerciale sleale che è il «dumping».
In pari data, il Consiglio ha anche istituito dazi antisovvenzione definitivi (chiamati anche dazi compensatori) sulle importazioni degli stessi prodotti, dato che l’indagine della Commissione europea aveva rivelato al riguardo che alcune imprese cinesi che esportano verso l’Europa ricevevano sovvenzioni illegali, il che produceva un ulteriore danno importante ai produttori di pannelli solari dell’Unione.
26 società colpite da questi dazi (del 47,7 % in media) hanno chiesto al Tribunale dell’Unione europea l’annullamento delle corrispondenti misure antidumping e antisovvenzione.
BOCCIATI I RICORSI DELLE SOCIETÀ COLPITE DAI DAZI. Con le sentenze pronunciate in data odierna, il Tribunale ha respinto tutti i ricorsi affermando, anzitutto, che le istituzioni dell’Unione hanno correttamente considerato che, per determinare il valore normale del prodotto in questione (i pannelli solari) nel paese esportatore, la nozione di «paese esportatore» non doveva necessariamente essere definita nello stesso modo per l’insieme del prodotto, indipendentemente dalla sua origine. Pertanto, le istituzioni dell’Unione hanno potuto validamente considerare che, per le celle e i moduli originari e provenienti dalla Cina nonché per i moduli originari della Cina ma provenienti da Paesi terzi, il paese esportatore corrispondeva al paese d’origine (la Cina), mentre, per i moduli provenienti dalla Cina ma originari di un paese terzo, il paese esportatore corrispondeva non al paese di origine ma al paese intermediario (ancora la Cina). Questa scelta delle istituzioni può trovare giustificazione nel loro obiettivo di esaminare l’esistenza di eventuali pratiche di dumping in Cina e non in un altro paese, il che fa parte del loro ampio margine di discrezionalità.
Peraltro, il Tribunale Ue afferma che correttamente le istituzioni dell’Ue hanno considerato le celle e i moduli fotovoltaici come un unico prodotto. Infatti, la peculiarità comune alle celle e ai moduli consiste nella loro capacità di effettuare la conversione dell’energia solare in energia elettrica, tanto più che le celle e i moduli sono intesi ad essere installati in sistemi fotovoltaici.
Il Tribunale ha respinto anche l’argomento secondo il quale l’aliquota dei dazi fissati dal Consiglio sarebbe eccessiva rispetto a quanto sarebbe stato necessario per risarcire il danno causato all’industria dell’Unione dalle importazioni oggetto del dumping. Secondo il Tribunale, infatti, le istituzioni dell’Unione hanno valutato in modo dettagliato e circostanziato le altre cause possibili di danno, quali, segnatamente, le importazioni in provenienza da Taïwan, la riduzione dei regimi di aiuto in alcuni Stati membri, il prezzo delle materie prime, le importazioni di celle e di moduli dalla la Cina da parte di produttori dell’Unione o, ancora, la crisi finanziaria. Per il Tribunale dell'Ue, gli effetti di questi fattori sulla situazione dell’industria dell’Unione sono stati debitamente distinti e separati dagli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto del dumping, ma nessuno di essi è stato considerato tale da spezzare il nesso di causalità stabilito tra le importazioni oggetto di dumping originarie e provenienti dalla Cina e il danno rilevante subito dall’industria dell’Unione. Inoltre, le imprese che contestano le misure antidumping e antisovvenzione non hanno presentato dinanzi al Tribunale alcun argomento né alcuna prova capace di dimostrare che i summenzionati fattori abbiano avuto un’incidenza tale che l’esistenza di un danno causato all’industria dell’Unione nonché quella di un nesso causale tra tale danno e le importazioni in parola non erano più affidabili. Tali fattori, pertanto, non erano all’origine di un qualsivoglia danno apprezzabile che le istituzioni dell’Unione europea avrebbero dovuto sforzarsi di non imputare alle importazioni in esame.