"Un danno per la ricerca e l’innovazione italiana, per tutto il sistema Paese". Sono parole tranchant quelle utilizzate da Sergio Dompé, presidente esecutivo dell’omonimo gruppo biofarmaceutico, nel commentare la scelta del governo di abbandonare la formula del patent box, ovvero la detassazione sul reddito che deriva dall'uso di beni immateriali, per passare a una deduzione dei costi.
Secondo l’imprenditore farmaceutico, intervistato oggi dal Sole24Ore, la modifica prevista dal decreto fiscale sarà profondamente controproducente: lo scopo del patent box infatti era proprio quello di valorizzare la ricerca italiana e dare benefici fiscali a chi paga le tasse in Italia. Invece optando per la detassazione dei costi anche aziende con sede all’estero possono beneficiarne.
Sarebbero piuttosto da favorire e incentivare nella ricerca le piccole e medie imprese che stavano proprio recuperando terreno, come indicano i dati diffusi da Efpia, la Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche: +29% dei brevetti italiani nel 2019-2020 rispetto alla media Ue del +10%. Inoltre il patent box è un meccanismo trasparente e verificabile da parte dell'Agenzia delle entrate, che premia il risultato e la qualità della proprietà intellettuale. Non altrettanto si può dire della detassazione dei costi.
La critica di Dompé al decreto fiscale segue a stretto giro quella di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e di Francesco De Santis, vice presidente per la Ricerca e lo sviluppo: "può portare benefici immediati alle casse dello Stato, certo nel medio-lungo periodo penalizza le imprese e il Paese, dal momento che la ricerca è la base della crescita".
Franco Metta