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Perito industriale, pubblicata la prima indagine sulla professione

La ricerca del Centro Studi del Cnpi ha fotografato circa 10 mila iscritti all’albo che hanno partecipato con la compilazione di un questionario on-line

lunedì 19 giugno 2017 - Redazione Build News

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Il Cnpi ha pubblicato la prima indagine sulla professione di perito industriale, nell'ambito dell'Osservatorio sulla professione messa a punto dal Centro Studi del Consiglio nazionale per monitorarne lo stato di salute, la sua evoluzione e accompagnare il processo di riforma in corso.

La ricerca, la cui analisi è stata completata nel gennaio scorso, ha fotografato circa 10 mila iscritti all’albo che hanno partecipato con la compilazione di un questionario on-line. Sono stati 9.097 gli iscritti che hanno risposto all’indagine, su una base di 32.546 contatti mail validi inviati: il tasso di risposta è stato pari al 27,9%. Il 94% ha compilato il questionario integralmente, in ogni sua parte.

UN PROFILO PLURIMO E COMPOSITO. L’indagine – CLICCA QUI - conferma il profilo di una categoria estremamente composita al proprio interno, sia per ambiti di specializzazione che per modalità di esercizio professionale. L’area industriale ad indirizzo elettrico è la specializzazione principale degli iscritti (41,8%), seguita da quella civile e ambientale (15,5%) e dall’industriale ad indirizzo meccanico (17,5%).

Negli anni l’articolazione settoriale della professione ha subito diversi cambiamenti: la centralità del settore industriale elettrico si è imposta a cavallo degli anni novanta e duemila, quando quella che era fino ad allora una specializzazione importante ma non centrale, è diventata di gran lunga maggioritaria: tra gli iscritti nel decennio 1990-1999, ben il 51,1% appartiene a tale settore, e anche negli ultimi sette anni tale valore, pur calando al 43,7%, è rimasto alto.

Diminuisce invece nel tempo il peso specifico del settore edile (raccoglie il 34,8% degli iscritti prima del 1980 e “solo” il 14% di quanti si sono iscritti dopo il 2010), mentre inizia a crescere il peso di nuove aree di interesse a cui la categoria si è aperta più recentemente: tra gli iscritti dopo il 2010, il 5,8% appartiene al settore della prevenzione e dell’igiene, il 6,7% dell’informazione, il 3,9% della chimica e delle tecnologie alimentari, e infine l’1,4% al design.

Il 45,9% del totale degli iscritti è un libero professionista, o altro lavoratore in proprio che esercita la professione in via esclusiva. Il 12,9% la svolge invece in qualità di dipendente. A fronte di questo segmento di periti “duri e puri”, vi è tuttavia una quota elevata (quasi il 41,2%) di iscritti che non esercita la professione (18,3%) o che la svolge solo in via occasionale (22%) avendo un altro lavoro. In sintesi, solo il 53,2% dichiara di essere iscritto all’Albo perché per le attività professionali che svolge è necessario. Per la restante parte prevalgono altre motivazioni: il 18,5% dichiara che è iscritto all’Albo perché quello di perito industriale è sempre un titolo professionale che può risultare utile per partecipare a concorsi e bandi di gara, il 9,4% per usufruire dei servizi offerti dall’Ordine, il 5,2% per motivi previdenziali, il 13,7% per altri motivi (in molti casi tradizione, etc).

L’EVOLUZIONE DEI CANALI DI ACCESSO ALLA PROFESSIONE E L’AFFIEVOLIMENTO DELLA SPECIFICITÀ PROFESSIONALE. Se negli anni l’evoluzione in termini di aree di specializzazione è stata importante, il cambiamento più sostanziale si è avuto sui percorsi di accesso alla professione.

Rispetto al passato non solo aumenta l’età media di iscrizione (tra quanti si sono iscritti dopo il 2010 ben il 19,5% ha più di 40 anni e “solo” il 36,8% ne ha meno di 26), ma anche il bagaglio di esperienza che portano i neoiscritti va cambiando: se da sempre l’accesso alla professione avviene dopo un’esperienza di lavoro alle dipendenze (così è per il 55,9% degli iscritti), negli ultimi anni cresce la quota di chi si iscrive dopo aver perso il precedente lavoro (5,6%) o di quanti esercitavano già un lavoro autonomo (22,5%). Tali tendenze, accentuatesi soprattutto negli ultimi anni, si accompagnano però, e in parte ne sono proprio il riflesso, ad un processo di progressivo affievolimento della specificità professionale: tra quanti si sono iscritti dopo il 2010, “solo” il 34,7% (contro il 45,9% del decennio precedente) svolge la libera professione; il 18,5% (contro il 14,5% del periodo 2000-2009) svolge un lavoro dipendente, mentre il 22,2% non esercita la professione e il 21,8% lo fa in forma occasionale.

LA PROGETTAZIONE, COMPETENZA DISTINTIVA DEL PERITO INDUSTRIALE. La progettazione, sia edile che impiantistica, risulta la vera competenza distintiva della professione: è svolta dal 56% degli iscritti e ben il 50,7% la considera l’attività che più contraddistingue il proprio lavoro (ciò vale per il 61,8% dei liberi professionisti e il 47,4% dei dipendenti; per chi esercita occasionalmente, solo il 27,5% considera tale competenza quella centrale). A seguire le attività più svolte dagli iscritti sono direzione lavori (34,4%), consulenza tecnica generale (33,1%), collaudo impianti (24,7%), prevenzione incendi (21,2%), certificazioni (20,7%) salute e sicurezza sul lavoro (17,2%).

Le certificazioni rappresentano un valore aggiunto per più della metà degli iscritti, visto che il 53,7% (tra i liberi professionisti si arriva al 75,9%) ne possiede una: il 25,4% per l’antincendio (L. 818/84), il 19,5% per la sicurezza (dlgs 81/2008), il 18,4% una certificazione energetica e il 18,3% una certificazione di altro tipo. Alta è la domanda per il futuro: il 34,5% degli iscritti (ma tra i 18-35 enni la percentuale sale al 49,8%) intende acquisire nuove certificazioni.

LA LIBERA PROFESSIONE. All’interno di un universo che si presenta estremamente composito ed articolato, la libera professione rappresenta la forma distintiva e più specifica dell’identità professionale. Al tempo stesso, le modalità di esercizio di questa appaiono diversificate, e alla netta prevalenza della forma individuale, che contraddistingue ben il 78,8% degli iscritti, si accompagna sempre più una logica di tipo collaborativo e associativo, che interessa una quota pari al 14%: nello specifico il 6,3% è associato in associazione professionale, il 5,1% è socio di società tra professionisti e il 2,6% è socio di società di ingegneria.

UN MERCATO IN FATICOSA TENUTA, CHE HA PERÒ BISOGNO DI RIPENSARE L’OFFERTA DI SERVIZI PROFESSIONALI PER TORNARE A CRESCERE. Il 2015 si è chiuso per il 35,5% dei professionisti con un segno meno del fatturato, e anche per il 2016 le previsioni sono più all’insegna del decremento che della crescita. Complessivamente però il mercato, per più della maggioranza dei professionisti, ha negli ultimi due anni tenuto, pur tra mille difficoltà: il ritardo dei pagamenti (problema principale per il 34,2%), l’aumento dei costi per adempimenti fiscali ed amministrativi (30%), la riduzione dei compensi professionali (28,7%), il calo della domanda (24,7%) e l’aumento della concorrenza, sia dei professionisti dell’area tecnica (17,8%) che di chi lavora in nero o senza avere titolo (21,5%).

Per tornare a crescere occorre allineare maggiormente l’offerta di servizi professionali alla domanda, che oggi vede fortemente penalizzato il settore delle costruzioni, e tutte quelle funzioni ad esso connesse (progettazione, direzione lavori), su cui i periti industriali sono maggiormente impegnati. Nuovi settori e nuove competenze possono oggi dare ossigeno alla professione: l’area informatica e digitale, la riqualificazione energetica degli edifici, la sicurezza ambientale. Tra i servizi professionali su cui i periti riscontrano una maggiore crescita della domanda di mercato, si segnalano certificazioni, perizie e consulenza tecnica (CTU), prevenzione salute e sicurezza, consulenza legale e fiscale.

LA FORMAZIONE, UN’ESIGENZA CHE VA OLTRE L’OBBLIGO. Il tema della formazione risulta centrale per gli iscritti, e non solo ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo. Per quanto la stragrande maggioranza dei periti consideri le proprie conoscenze “adeguate” per soddisfare le richieste del mercato, non c’è una piena convinzione che queste lo siano fino in fondo (il 72,5% le giudica “abbastanza” rispondenti, il 16,5% “del tutto”), mentre l’11% lamenta forti carenze.

Peraltro una formazione più finalizzata al mercato (41,4%) è la principale richiesta che gli iscritti rivolgono agli organi di rappresentanza, seguita da una maggiore informazione di supporto tecnico alla professione (normative, innovazioni, etc).

Tenere il passo con la tecnologia rappresenta un imperativo categorico per gli iscritti. L’innovazione tecnica e tecnologica è infatti l’area su cui questi più avvertono l’esigenza di formazione (51%), seguita dalle lingue straniere (40,4%) e dall’evoluzione della normativa di interesse professionale. La formazione tradizionale è di gran lunga la preferita dagli iscritti: il 37,5% considera il “corso in aula” la modalità più utile di aggiornamento, il 26,9% opta per la formazione a distanza e il 25,3% per seminari tecnici altamente specializzati.

L’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DI ISTRUZIONE, UNA SCELTA GIÀ PER MOLTI. Il 9,1% degli iscritti possiede un titolo di studio universitario, che nel 79,6% dei casi è finalizzato all’esercizio professionale. Tra le lauree più diffuse spicca ingegneria (50,8% dei laureati, principalmente indirizzo industriale) e a seguire scienze delle professioni sanitarie (9,9%) e architettura e similari (6,2%). A questa quota del campione si aggiunge il 3,8% che dichiara di essere iscritto ad un corso universitario. La maggioranza – il 57,5% - non è stato mai iscritto ad un corso di laurea, mentre il 26,9% lo è stato nel passato, ma poi ha abbandonato gli studi.

Tra quanti non hanno la laurea, vi è un 11,2% molto interessato a ad iscriversi ad un corso di laurea finalizzato all’esercizio professionale, e un 23,7% che si dichiara al proposito “abbastanza interessato”. La maggioranza degli iscritti resta però “fredda” su tale ipotesi (poco o per nulla interessato).

PIÙ PARTECIPAZIONE, SOPRATTUTTO GIOVANILE, PER IL RILANCIO DELLA PROFESSIONE. Il senso di appartenenza alla categoria, confermato dall’alto livello di partecipazione all’indagine, si riscontra anche nella fiducia con cui gli iscritti guardano al futuro della professione: ben il 73,7% pensa con riferimento ai prossimi dieci anni che la professione possa avere grandi opportunità di sviluppo, a patto che sappia innovarsi. Il 26,3% all’opposto, crede che sia destinata ad avere un ruolo sempre più residuale.

Alta è anche la voglia di partecipazione alla vita di categoria. Se il 16,9% degli intervistati dichiara di partecipare già attivamente ricoprendo ruoli di rappresentanza o collaborando alle iniziative del collegio, vi è un 9,2% (ma tra i giovani la percentuale sale al 13,9%) che si dichiara molto interessato a partecipare, e un 46,1% che, più possibilista, afferma che “potrebbe essere interessato a partecipare di più”.

IMMAGINE E FORMAZIONE, LE SFIDE PER LA RAPPRESENTANZA. Alla domanda di indicare qual è il principale problema che la categoria sta affrontando, la maggioranza (43,2%) degli iscritti indica la debolezza dell’immagine del perito industriale presso l’opinione pubblica, elemento che prevale di gran lunga su altri, quali la crisi che ha investito il mondo professionale (24,8%), l’impoverimento delle conoscenze e competenze degli iscritti (12,4%), il calo degli iscritti (8,8%), la debolezza degli organi di governo (6,6%).

La categoria esprime soddisfazione per l’attività del CNPI: il 56,1% si dichiara abbastanza soddisfatto, il 7,2% molto soddisfatto, per un totale del 63,3% di iscritti che esprime giudizio positivo. Il restante 36,8% è poco (29,8%) o per nulla soddisfatto (7%).

Ma ancora più positivi sono i giudizi rispetto all’operato dei Collegi provinciali, dove il livello di soddisfazione complessivo sale all’80,3%, ripartito tra un 26,1% che si dichiara molto soddisfatto e un 54,2% abbastanza.

L’ELEVAZIONE DEL TITOLO DI STUDIO PER L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE: LA NECESSITÀ DI UN PERCORSO INFORMATO E CONDIVISO. Il 35,4% gli iscritti non è a conoscenza dell’introduzione dell’obbligo della laurea per l’accesso alla professione. Tra gli informati, i favorevoli (36,2%) all’innovazione introdotta prevalgono sui contrari (28,4%). I più perplessi sono i giovani, tra i 18 e 35, il 38,1% dei quali si dichiara contrario alla norma, contro il 32,2% dei favorevoli.

C’è bisogno di informare maggiormente gli iscritti anche per favorire lo svolgimento dei tirocini presso gli studi. Si riscontra infatti da questo punto di vista troppa poca disponibilità. Considerando la sola platea di quanti esercitano la libera professione, “solo” l’8,7% si dichiara molto interessato, e il 28,3% disponibile. La maggioranza degli iscritti, il 52,7%, non è interessato e il 10,2% dichiara che non è una scelta può compiere autonomamente.

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