La quarta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2567/2017 pubblicata il 30 maggio, ricorda che il permesso di costruire “è provvedimento naturalmente oneroso di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio”.
ESENZIONE DAL CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE IN CASO DI CALAMITÀ. L’art. 17, comma 3, lett. d) del DPR n. 380/2001 prevede l'esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.
“Si tratta – osserva Palazzo spada - di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento”.
Dunque, se l’evento “deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett.c) e 5 l. 24 febbraio 1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 8 agosto 2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali”.
In conclusione, il Consiglio di Stato sottolinea che “perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari”.
INTERVENTI DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA. Per quanto riguarda gli interventi di “manutenzione straordinaria”, l’art. 3, comma 1, lett. b) del DPR n. 380/2001, li qualifica come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici”. Palazzo Spada evidenzia che “per quel che interessa ai fini della presente decisione, ciò che caratterizza gli interventi di manutenzione straordinaria è la preesistenza (e presenza in atto) di un edificio sul quale si interviene al fine di rinnovarlo o parzialmente sostituirlo, onde renderlo più idoneo all’uso cui lo stesso è finalizzato.
Laddove, invece, si interviene mediante demolizione (anche parziale) di un edificio e sua ricostruzione, può ricorrere sia l’ipotesi di ristrutturazione edilizia (laddove si rispettino le condizioni di cui all’art. 3, co. 1, lett. d) DPR n. 380/2001: v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443), sia, in difetto di queste ultime, un’ipotesi di nuova costruzione.
Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
RISTRUTTURAZIONE RICOSTRUTTIVA. Nelle ipotesi di 'ristrutturazione ricostruttiva', “a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione”.
Il Consiglio di Stato osserva infine che, “del tutto coerentemente, il legislatore, all’art. 22, co. 1, lett. c) DPR n. 380/2001, prevede, tra gli interventi sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso di costruire, fermo restando la possibilità per l’interessato (co. 7) di richiedere comunque il permesso di costruire “senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16” (con esclusione dei casi in cui, ai sensi dell’art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di costruire)”.