Sentenze

Permesso di costruire, la Cassazione sulla qualifica di “dehor”

Non si possono considerare dehor le strutture che, per dimensioni e caratteristiche costruttive, risultino destinate a non contingenti esigenze di esercizio dell'attività determinando un incremento volumetrico

mercoledì 1 giugno 2016 - Redazione Build News

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Il Tribunale di Roma con una ordinanza ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto una struttura consistente in una pedana delimitata da parapetti in ferro con pannellatura modulare e copertura sorretta da travatura orizzontale e verticale, per la realizzazione della quale il ricorrente risulta indagato per i reati di cui agli artt. 44 d.P.R. 380/01, 633, 639-bis cod. pen.

Attraverso la realizzazione della struttura, qualificata dal ricorrente come «dehor», destinata ad accogliere i tavoli di un ristorante gestito dall'indagato, è stato anche arbitrariamente invaso il suolo pubblico, occupandolo senza titolo.

Secondo il ricorrente dette opere non sarebbero soggette al preventivo rilascio del permesso di costruire, non determinando alcuna trasformazione urbanistica permanente e che il reato contravvenzionale sarebbe ormai prescritto, mentre la mancanza di autorizzazione amministrativa all'occupazione del suolo pubblico non consentirebbe di ritenere configurato il delitto, restando confinata nell'ambito della mera irregolarità amministrativa.

Per quanto riguarda la contravvenzione edilizia, la Cassazione penale con la sentenza n. 21988 del 26 maggio 2016 ha rilevato che “opere aventi consistenza e caratteristiche costruttive quali quelle realizzate dal ricorrente devono senz'altro ritenersi soggette al permesso di costruire.

Si tratta, invero, di una struttura destinata, per dimensioni e caratteristiche costruttive, a non contingenti esigenze di esercizio dell'attività di ristorazione che determina, indubbiamente, un incremento volumetrico.

La struttura, che, come chiarito nella descrizione riportata dal Tribunale, è costituita, oltre che da una pedana delimitata da parapetti in ferro, anche da una chiusura laterale mediante pannellatura modulare e da una copertura sorretta da travatura orizzontale e verticale, ha, evidentemente, caratteristiche di gran lunga differenti rispetto a quelle richieste per delimitare lo spazio esterno di un locale ed assicurare la sicurezza e l'incolumità delle persone, costituendo, in buona sostanza, non un dehor, come lo definisce il ricorrente e, cioè, uno spazio esterno ad un pubblico esercizio attrezzato con arredi, bensì una nuova volumetria suscettibile di autonoma utilizzazione”.

Secondo la suprema Corte “un intervento di tale consistenza non potrebbe neppure definirsi precario, atteso che, secondo quanto ripetutamente stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, la precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore, sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, l'opera deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo e deve, inoltre, essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso”.

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