Con la sentenza n. 261/2015 depositata l'11 dicembre, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, dello Sblocca Italia (decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Il suddetto art. 29, comma 1 stabilisce che «Al fine di migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, di agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell’intermodalità nel traffico merci, anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all’accorpamento delle Autorità portuali esistenti, da effettuare ai sensi della legge n. 84 del 1994, è adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, il piano strategico nazionale della portualità e della logistica. Lo schema del decreto recante il piano di cui al presente comma è trasmesso alle Camere ai fini dell’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il parere è espresso entro trenta giorni dalla data di assegnazione, decorsi i quali il decreto può essere comunque emanato».
ACCOLTO IL RICORSO DELLA REGIONE CAMPANIA. La Consulta ha accolto l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Regione Campania. La Corte costituzionale osserva che la disposizione impugnata è riconducibile alla materia «porti e aeroporti civili», che l’art. 117, terzo comma, Cost. include tra quelle di competenza legislativa concorrente. Con altrettanta evidenza, peraltro, la norma non detta una disciplina di principio, ma regole dettagliate e di diretta applicazione.
L’intervento normativo in questione trova, per questo verso, la sua base di legittimazione nel meccanismo ormai comunemente designato come «chiamata in sussidiarietà»: vale a dire nel principio – reiteratamente affermato dalla Consulta – in forza del quale, allorché sia ravvisabile un’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo Stato è abilitato, oltre che ad accentrare siffatto esercizio ai sensi dell’art. 118 Cost., anche a disciplinarlo per legge, e ciò anche quando quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale. In tal caso, i principi di sussidiarietà e di adeguatezza, in forza dei quali si verifica l’ascesa della funzione normativa, dal livello regionale a quello statale, convivono con il normale riparto di competenze delineato dal Titolo V della Costituzione e possono giustificarne una deroga (ex plurimis, sentenze n. 374 e n. 88 del 2007, n. 303 del 2003).
Tuttavia, precisa la Consulta, “sempre alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, taffinché detta deroga possa ritenersi legittima è necessario – stante la rilevanza dei valori in gioco – per un verso, che la valutazione dell’interesse unitario sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata e rispondente a ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto; per altro verso, che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse (ex plurimis, sentenze n. 179 e n. 163 del 2012, n. 232 del 2011). Più in particolare, la legislazione statale di questo tipo «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenze n. 278 del 2010, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003)”.