“Il Governo Monti, con il DL 24.01.2012 n. 1, aveva a suo tempo abolito la tariffa per una serie di categorie di professionisti iscritti in Albi, tra cui quella dei commercialisti, creando anche un certo disorientamento. Ora si è arrivati alla paradossale situazione per cui quello che il professionista non può chiedere al cliente, può essere invece imposto dal Fisco al professionista….”.
La denuncia arriva dal presidente dell'Associazione nazionale dei commercialisti, Marco Cuchel, con un comunicato che riportiamo.
“Gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria preposti agli accertamenti, hanno da qualche tempo avviato un’attività di controllo, incrociando i dati relativi alle dichiarazioni trasmesse con le fatture emesse dagli intermediari abilitati”, spiega l'ANC. “Nel caso in cui al numero alle dichiarazioni trasmesse non si associ l’emissione della relativa fattura, l’Ufficio accertatore presume un maggior reddito imponibile generato da compensi oscillanti tra i 170 e i 670 euro, a seconda del tipo di modello Unico”.
“L’Agenzia delle Entrate non tiene conto di una serie di circostanze”, spiega il presidente dell’ANC. “Prima di tutto il fatto che l’attività dichiarativa è spesso esercitata a margine di una consulenza più ampia, la cui entità economica viene spesso calcolata con un forfait annuale che comprende diversi servizi quali la contabilità, le buste paga ecc…; in secondo luogo, non è detto che la cerchia della prestazione gratuita sia limitata ai congiunti.”.
“La seconda considerazione che sorge inevitabilmente è quella che i corrispettivi che si presume debbano essere stati percepiti pongono l’Amministrazione in un quadro di mercato completamente al di fuori della realtà” prosegue Cuchel. “Infatti mi chiedo quale sia quel collega che riesca ad imporre e a riscuotere simili compensi, in un momento in cui la professione deve continuamente fronteggiare la selvaggia deregulation causata dall’entrata nel mercato di soggetti non sottoposti ad alcun vincolo formativo, assicurativo, disciplinare e deontologico.”.
“Ci si chiede, inoltre, su quali presupposti detti importi siano stati determinati, uniformando le casistiche più diverse che si possono presentare nell’ambito di un tipo di dichiarazione. Ad esempio, un modello Unico persone fisiche di un contribuente percettore di reddito da lavoro dipendente, proprietario di un immobile, sarà diverso dal caso di un proprietario di più immobili messi a reddito in diversi comuni. Così come si può dire delle società di persone o di capitali, che possono avere volumi di affari abissalmente differenti tra loro”.
La determinazione degli importi sembra sia stata parametrata su quanto riporta la tabella C del DM 20.07.2012 n. 240, che riguarda la liquidazione dei compensi in via giurisdizionale, casistica completamente avulsa dal rapporto che nel tempo si instaura tra cliente e professionista.
Se così fosse, lo scollamento dalla reale situazione del mercato la si può desumere anche dalla presunzione dei 20 euro applicati per ogni trasmissione, cifra che invece non viene quasi mai caricata sui costi del cliente e, laddove applicata, difficilmente supera i quindici”.
Questa, conclude il comunicato dell'ANC, “è la dimostrazione di come ancora una volta l’Amministrazione finanziaria dà una rappresentazione del Paese reale ben diversa dalla situazione che ogni giorno vive la collettività, seguendo, come sempre, la logica del fare cassa.
Noi crediamo, invece, che sia giunto il momento di cambiare logica”.