Una società insorge avverso la sentenza con la quale la Sezione di Salerno del T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso dalla stessa proposto contro i provvedimenti con cui un Comune le ha inibito l’intervento, preannunciato con apposita comunicazione, di apposizione di paletti metallici su di un marciapiede prospiciente un immobile di sua proprietà.
La società istante aveva depositato in data 30 giugno 2014 apposita comunicazione di inizio dell’attività finalizzata al posizionamento dei suindicati paletti, al fine di risolvere i problemi causati dalla sosta incontrollata di veicoli nell’area di sua proprietà.
A fronte di tale comunicazione, con nota del 7 agosto 2014 il Comune diffidava la società istante dal dare inizio ai lavori, ravvisando l’assenza nella documentazione prodotta di prova del titolo di proprietà dell’area interessata, chiedendo pertanto di integrare la documentazione sul punto.
In data 5 settembre 2014, la società provvedeva all’integrazione richiesta, depositando apposita perizia basata sui rilievi topografici e catastali. Malgrado ciò, l’Amministrazione in data 27 novembre 2014 confermava l’inibitoria, ritenendo non provato il titolo di proprietà e riservandosi appositi approfondimenti sul punto.
LA SENTENZA N. 5082/2015 DEL CONSIGLIO DI STATO. Il Tar ha respinto il ricorso proposto dalla società istante, reputando correttamente e congruamente motivate le determinazioni negative censurate. Contro tale sentenza dei giudici amministrativi, la società ha proposto ricorso al Consiglio di Stato, che lo ha accolto. Con la sentenza n. 5082/2015 depositata il 9 novembre, la quarta sezione di Palazzo Spada ha infatti osservato che, “se può essere ritenuta legittima la diffida del 7 agosto 2014, motivata dal non essere la comunicazione corredata dalla prova della proprietà dell’area interessata dall’intervento, non altrettanto può dirsi per il successivo provvedimento inibitorio del 27 novembre 2014”.
Secondo il Consiglio di Stato, “non può condividersi l’avviso secondo cui già sull’originaria comunicazione del 30 giugno 2014 si sarebbe formato un titolo abilitativo tacito a causa dell’inutile decorso del termine di legge: infatti, è jus receptum che l’assenza della documentazione da allegare obbligatoriamente alla dichiarazione di inizio attività rende la dichiarazione stessa inidonea a far decorrere il predetto termine, e pertanto impedisce il formarsi del titolo ad aedificandum”.
Si deve ritenere che “la documentazione prodotta dalla società istante a riscontro potesse essere considerata idonea a dimostrare il titolo di proprietà sull’area interessata dall’intervento proposto: infatti, è noto che a tal fine al richiedente il provvedimento abilitativo non incombe l’onere di produrre necessariamente l’atto di acquisto dell’immobile, essendo sufficiente che egli produca un titolo che astrattamente e formalmente lo legittimi a richiedere l’intervento de quo”.
Inoltre, aggiungono i giudici di Palazzo Spada, “se è vero che l’Amministrazione conserva ogni margine di indagine e apprezzamento sulla documentazione prodotta, non può però non rimarcarsi che nel caso di specie il Comune non ha mai specificamente contestato la documentazione prodotta dalla società odierna appellante: infatti, in sede procedimentale tale documentazione è stata semplicemente ignorata (essendosi il provvedimento del 27 novembre 2014 limitato a darne per scontata l’inidoneità, senza motivare al riguardo), mentre in sede processuale il Comune ha preferito addirittura rinunciare a costituirsi per difendere le proprie scelte”.