ARPAT ha predisposto e pubblicato alcune FAQ finalizzato ad informare sulla procedura prevista in materia di terre e rocce da scavo dall'art. 41bis del Decreto Legge 69/2013 convertito - con modifiche - nella Legge 98/2013
Quali sono i materiali da scavo interessati dall’art. 41bis?
Per esplicito richiamo dell’art. 41bis, comma 1, sono tutti quelli elencati nell’art. 1, comma 1, lettera b, del DM 161/2012, vale a dire:
b. "materiali da scavo": il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un'opera quali, a titolo esemplificativo:
- scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.);
- perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.;
- opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, ecc.);
- rimozione e livellamento di opere in terra;
- materiali litoidi in genere e comunque tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini;
- residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide).
Esistono dei limiti quantitativi per l’applicazione dell’art. 41bis?
No; la lettura integrata del comma 2 dell’art. 41 nonché dei commi 1, 5 e 6 dell’art. 41bis, rende applicabile tale norma a tutti i materiali da scavo, con la sola esclusione di quelli relativi a progetti soggetti ad AIA o VIA in cui sia previsto lo scavo complessivo di quantitativi > di 6000 mc, che restano soggetti all’applicazione del DM 161/2012.
Occorre effettuare una qualche comunicazione per il riutilizzo delle terre o rocce?
Secondo l'interpretazione dell'art. 41 bis comma 3 del DL 69/2013 a conclusione delle operazioni di utilizzo sussiste l'obbligo, per il produttore, di confermare l'avvenuto utilizzo dei materiali da scavo.
Preme quindi ricordare che la norma prevede l’obbligo di inoltrare la comunicazione di avvenuto utilizzo e che, la mancata ottemperanza a tale invio può comportare l’applicazione della qualifica di rifiuto al materiale scavato.
Le attività di scavo e di utilizzo per cui si presenta la dichiarazione devono già essere autorizzate?
Sì; il comma 1 dell’art. 41bis parla di materiali di scavo “prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti”, e il comma 2 dell’art. 41bis afferma che “le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria”. È necessario dare atto di tali autorizzazioni nella dichiarazione
I materiali da scavo devono essere sottoposti ad analisi?
Non esiste un obbligo generalizzato in tal senso, tuttavia il dichiarante si assume la responsabilità (anche penale) di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto di quanto dichiarato, da esibire in fase di eventuali controlli. Il modulo ARPAT fornisce indicazioni in tal senso.
In caso di superamento dei limiti attribuibile a fondo naturale, il piano di accertamento deve essere validato dall’Agenzia di protezione ambientale?
La dichiarazione va presentata anche nel caso di riutilizzo nello stesso sito di produzione?
No, il riutilizzo nello stesso sito rientra tra le esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lettera c) del d. lgs. 152/06 e s.m.i.. Risulta però importante tenere presenti, ai fini dell’applicazione di questo articolo, le modifiche introdotte dall’art. 41, comma 3, del dl 69/2013, così come convertito nella legge 98/2013, all’art. 3 del dl 2/2012 convertito nella legge 28/2012; tali modifiche riguardano, in particolare, il comportamento da tenere in presenza di materiali di riporto, con obbligo di effettuare il test di cessione di cui al DM 5/2/1998 e s.m.i. .In presenza di materiali di riporto, si deve effettuare il test di cessione anche nel caso di utilizzo in altro sito ai sensi dell’art. 41bis?
Il test di cessione sui materiali di riporto, in applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del d. lgs. 152/06 e s.m.i. , è introdotto dall’art. 3, comma 3, del dl n. 2 del 25/01/2013 (convertito con la legge 28 del 25.03.2013) allo scopo di verificare che essi non rappresentino fonte di contaminazione. Pertanto, visto che tra i requisiti previsti dall'art. 41bis , comma 1, lett b, vi è quello che i materiali non devono costituire fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, il citato comma 3 risulta essere il riferimento di legge per dimostrare la sussistenza di tale requisito nel caso dei materiali di riporto, che quindi devono essere verificati tramite esecuzione del previsto test di cessione.
I residui di lavorazione dei materiali lapidei rientrano nel campo di applicazione del 41bis?
Sì, se conformi alla definizione presente nell’elenco di cui all’art. 1, comma 1, lettera b, del DM 161/2012; questa è però condizione necessaria ma non sufficiente per l’applicazione dell’art. 41 bis: ai fini di una piena applicabilità è infatti necessario che, caso per caso, sia valutato dal proponente se sono verificate tutte le condizioni di cui all’art. 41bis comma 1.
In caso di movimenti di terra per fini agricoli serve una autorizzazione?
Per movimento terra a fini agricoli qui si intende sbancamenti, livellamenti e riprofilature limitate a qualche decimetro di spessore nell'ambito di attività agro-silvo-pastorale, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari; sono esclusi gli scavi di fondazione.
I movimenti terra per fini agricoli di cui al paragrafo precedente, in base alla normativa nazionale o delle regioni in materia edilizia (DPR 380/2001 art.6 c.1) - fatto salvo quanto eventualmente previsto dalle normative in materia edilizia e di vincolo idrogeologico, dalle disposizioni dei Piani di indirizzo territoriale (PIT) e degli strumenti urbanistici comunali - sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo.