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Rapporti di lavoro in caso di cambio di appalto: analisi delle novità della Legge europea 2015-2016

Consulenti del lavoro: devono essere applicate le tutele dell’art. 2112 cod. civ. ogniqualvolta nel cambio dell’appalto si realizzi una sostanziale continuità organizzativa d’impresa, senza il ricorso a mezzi, beni ed organizzazione diversi da quelle impiegate in precedenza

mercoledì 31 agosto 2016 - Redazione Build News

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Con la circolare n.11/2016 (IN ALLEGATO), la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro analizza le ultime novità relative ai rapporti di lavoro in caso di cambio di appalto.

Il documento si sofferma in particolare sulle novità previste dalla legge 7 luglio 2016, n. 122, cd. Legge europea 2015-2016. Le disposizioni, in vigore dal 23 luglio scorso, hanno riformato la legge Biagi nella parte relativa ai trasferimenti d’azienda, introducendo novità in materia di c.d. «cambio appalto», quando cioè si verifica la successione di un imprenditore ad un altro nella gestione, con propria organizzazione, di uno specifico servizio in affidamento.

Le modifiche sono state rese necessarie dall’intervento della Commissione dell’Unione Europea, la quale ha segnalato al Governo italiano che le precedenti disposizioni non erano conformi con la Direttiva comunitaria in materia. La circolare della Fondazione Studi illustra, in dettaglio, cosa cambia per aziende e lavoratori.

IL CONTENUTO DELLE MODIFICHE DEL 2016. “Le modifiche del 2016”, spiega la circolare, “hanno introdotto nel testo dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 due elementi innovativi: è infatti escluso il trasferimento d’azienda quando l’imprenditore subentrante sia «dotato di propria struttura organizzativa e operativa» e «siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa». Secondo il dettato del nuovo comma 3 dell’art. 29, dunque, la successione nell’appalto integra trasferimento d’azienda ogniqualvolta ci sia sostanziale continuità tra la struttura organizzativa ed operativa dell’appaltatore subentrante e quella dell’appaltatore uscente e cioè quando vi sia identità d’impresa tra l’attività del primo e quella del secondo, con mera mutazione della titolarità della stessa.

E’ chiaro che il legislatore interno ha provato ad adeguarsi alle indicazioni della Commissione Europea rifacendosi alla giurisprudenza che ha superato l’interpretazione strettamente letterale del vecchio comma 3 dell’art. 29, inserendo nel nuovo testo alcuni indici già segnalati dalla Cassazione, la cui presenza esclude l’applicazione della disciplina sul cambio appalto integrando quella prevista dall’art. 2112 cod. civ.

In tal senso, infatti, deve interpretarsi l’inciso della nuova disposizione che richiede all’imprenditore di subentrare nell’appalto con «propria struttura organizzativa e operativa», poiché, in questo modo, è escluso che si trasferiscano, oltre ai dipendenti già assegnati all’appalto, anche beni e mezzi di rilevante entità utilizzati dall’imprenditore uscente.

Il secondo requisito richiesto dal nuovo comma 3 dell’art. 29 affinché sia escluso un trasferimento d’azienda è la presenza di «elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa». Per chiarire il significato di tale nuova impostazione, è necessario interrogarsi sulla nozione di «identità d’impresa».

Sul piano delle fonti comunitarie, l’art. 1 della direttiva CEE del 29 giugno 1998, n. 50 prevede che, in materia di trasferimento d’azienda, si possa parlare di «identità» quando un’azienda conservi il medesimo «insieme di mezzi organizzati, al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria».

La Corte di Giustizia, chiamata a chiarire il significato del termine «identità» nella disciplina comunitaria sul trasferimento d’azienda, ha sostenuto che essa è integrata ogniqualvolta venga essenzialmente conservato il complesso dei beni materiali ed immateriali, comprensivi del personale e delle sue competenze, necessari ed imprescindibili all’esercizio di una specifica e stabile attività economico-imprenditoriale: non basta dunque la mera cessione di alcuni mezzi o l’assunzione di qualche dipendente per poter parlare di conservazione di tale identità (si v., su tutte, Corte Giust., 11 marzo 1997 (causa 13/95), Suzen c. Zehnacker).

Parimenti la Corte di Cassazione ritiene che si conservi l’identità dell’impresa quando permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici funzionalizzati all’esercizio stabile e continuativo di attività economica in forma d’impresa (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1102; Cass. 8 luglio 2011, n. 15094).

Di questa definizione ha certamente tenuto conto il legislatore italiano nella formulazione del comma 5 dell’art. 2112 cod. civ. (modificato dall’art. 1, co. 2, D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 e poi dall’art. 32 d.lgs. n. 276/2003), secondo cui si intende per trasferimento d’impresa il mutamento di titolarità di un’attività economica organizzata «che conserva nel trasferimento la sua identità».

In tale quadro, il requisito dell’identità di impresa richiesto dal nuovo comma 3 dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 pare specificare e puntualizzare quelli già richiesti in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità. Come detto, infatti, l’esclusione dell’operatività dell’art. 2112 cod. civ. nel vecchio sistema era derogata in tutte quelle ipotesi in cui, oltre al passaggio dei dipendenti addetti al servizio appaltato, fossero passati al nuovo appaltatore anche «beni di non trascurabile entità», tali da «rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa» (Cass. 16 maggio 2016, n. 11918).

Dunque anche prima della riforma introdotta dalla l. n. 122/2016 la continuità dei mezzi e degli strumenti organizzativi di impresa era un elemento che autorizzava l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. Tuttavia, tale requisito trova ora nel nuovo art. 29 una indicazione chiara, ricollegando la possibilità di applicare le tutele dell’art. 2112 cod. civ. ai casi in cui il nuovo appaltatore non intervenga a succedere al vecchio con una propria organizzazione imprenditoriale, bensì acquisisca quella già costruita e gestita dall’appaltatore uscente, composta dal complesso dei mezzi, dei beni e dei rapporti giuridici funzionalizzati all’esercizio di una specifica e stabile attività d’impresa.

In conclusione – ed in attesa delle prime pronunce giurisprudenziali che contribuiranno a chiarire il valore semantico del concetto di «discontinuità» – la L. n. 122/2016 codifica il principio secondo il quale devono essere applicate le tutele dell’art. 2112 cod. civ. ogniqualvolta nel cambio dell’appalto si realizzi una sostanziale continuità organizzativa d’impresa, senza il ricorso a mezzi, beni ed organizzazione diversi da quelle impiegate in precedenza.”

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