Sentenze

Reato di abusiva gestione dei rifiuti, la Cassazione su responsabilità appaltatore e committente

L'appaltatore è, di regola, il produttore del rifiuto e su di lui gravano i relativi oneri, ma ci sono casi in cui gli oneri si estendono anche al committente

martedì 31 marzo 2015 - Redazione Build News

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La Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 11029/2015 depositata il 16 marzo, fornisce dei chiarimenti in merito al ruolo dell'appaltatore nelle attività di gestione dei rifiuti, ai suoi obblighi e responsabilità da distinguere rispetto alle diverse figure del committente e del subappaltatore.

La suprema Corte ribadisce che nessuna fonte legale, né scaturente da norma extrapenale, quale la disciplina generale sui rifiuti, né da contratto, individua committente e subappaltatore come gravati da un obbligo di garanzia in relazione all'interesse tutelato ed il correlato potere giuridico di impedire che l'appaltatore commetta il reato di abusiva gestione dei rifiuti. “Di conseguenza, tranne nel caso di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità ai sensi dell'articolo 40, comma 2 cod. pen. per mancato intervento al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice (Sez. 3, n. 25041 del 25/5/2011, Spagnuolo, Rv. 250676; Sez. 3, n. 40618 del 22/9/2004, Bassi, Rv. 230181; Sez. 3, n. 15165 del 28/1/2003, Capecchi, Rv. 224706. V. anche Sez. 3, n. 35692 del 5/4/2011, Taiuti, Rv. 251224)”.

“Tali condivisibili considerazioni si fondano – osserva la Cassazione penale - sulla natura stessa del contratto di appalto, che non consente, di norma, alcuna ingerenza da parte dell'appaltante nell'attività dell'appaltatore”.

IL COMMITTENTE NON HA ALCUN POTERE GIURIDICO DI IMPEDIRE IL REATO DI ABUSIVA GESTIONE DEI RIFIUTI DA PARTE DELL'APPALTATORE. “Si è così osservato – spiega la suprema Corte - come il committente non abbia alcun potere giuridico di impedire l'evento del reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso dall'appaltatore, poiché ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse ai sensi dell'articolo 1662 cod. civ., ad esempio verificando la conformità dei materiali utilizzati a quelli pattuiti o l'esecuzione delle opere a regola d'arte, ma non gli è consentito di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali, salvo nel caso in cui questi coincidano col suo interesse contrattuale. Ha la facoltà di controllare la qualità dei materiali utilizzati per il riempimento del terreno, ma non il potere (e non certamente l'obbligo) di chiedere all'appaltatore se è abilitato allo smaltimento dei rifiuti e, tanto meno, di impedire all'appaltatore non autorizzato di smaltire i rifiuti che lui utilizza per lo svolgimento dell'appalto. Conclusioni analoghe sono state tratte nel caso in cui il committente dei lavori sia anche proprietario dell'area su cui i lavori sono eseguiti, poiché come tale egli non ha alcun potere giuridico specifico verso l'appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto (così Sez. 3, n. 40618 del 22/9/2004, Bassi, cit.)”.

Quindi, la Cassazione osserva che “l'appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto; su di lui gravano, quindi, i relativi oneri, pur potendosi verificare, come osservato in dottrina, casi in cui, per la particolarità dell'obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull'attività dell'appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto

La verifica delle singole posizioni costituisce, peraltro, un accertamento in fatto demandato al giudice del merito”.

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