Stamane il Consiglio dei Ministri ha deliberato di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Abruzzo n. 40 del 1 agosto 2017, recante “Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla L.R. 96/2000 ed ulteriori disposizioni” (LEGGI TUTTO).
Secondo il Governo nazionale questa legge regionale, “nel disciplinare il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale, presenta profili di illegittimità con riferimento a varie disposizioni, che appaiono invadere la competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione) e di governo dei territori (art. 117, comma 3, della Costituzione), consentendo interventi di recupero anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza dei medesimi”.
I RILIEVI DEL GOVERNO. Ecco tutti i dettagli dell'impugnativa:
“La legge della Regione Abruzzo, che disciplina il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale, presenta profili di illegittimità con riferimento alle disposizioni contenute agli articoli 4, 5 e 7, e, per i motivi e nei limiti di seguito specificati, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
L’art. 4 individua i requisiti tecnici degli interventi di recupero e, al comma 4, prevede che il recupero è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza dei medesimi. Tale disposizione presenta profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento agli artt. 6, comma 3, 12, e 65, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché con riferimento all’art. 117, comma 3, Cost.
La disposizione determina un’elusione dell’obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità, ai sensi degli artt. 6, comma 3, e 12 del d.lgs. n. 152 del 2006. La prima di tali norme, infatti, prevede che per i piani o programmi potenzialmente oggetto di VAS che «determinano l'uso di piccole aree a livello locale» e per le «modifiche minori» dei medesimi piani e programmi «la valutazione ambientale è necessaria qualora l'autorità competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento». A sua volta, l’art. 12 disciplina la «verifica di assoggettabilità» alla VAS di tali piani o programmi e delle loro modifiche. Inoltre, potendo determinare una deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali che recepiscono la pianificazione di bacino, la previsione rappresenta una elusione del precetto reperibile nell’art. 65 (Valore, finalità e contenuti del piano di bacino distrettuale), del d.lgs. n. 152 del 2006, tale norma, al comma 4, prevede che «Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato.».
La norma censurata inoltre contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio (art. 117, comma 3). L’art. 2, comma 4 del testo unico dell’edilizia, infatti, prevede che i “comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, disciplinano l’attività edilizia”. Il testo unico dell’edilizia, quindi, ha ricondotto la competenza regolamentare dei comuni in materia urbanistica all’autonomia statutaria e normativa prevista dall’art. 3 del testo unico degli enti locali, da definire ora anche alla luce del riconoscimento costituzionale dell’autonomia comunale ex articolo 114 della Costituzione e della relativa potestà regolamentare ex art. 117, sesto comma, della Costituzione. Ad essere violate sono, oltre alle citate disposizioni del testo unico dell’edilizia, anche le norme di cui agli articoli 4 e 7 della legge urbanistica, che attribuiscono ai comuni la pianificazione urbanistica e gli interventi relativi alle disposizioni d’uso degli immobili.
Sotto un altro profilo, l’articolo 4, comma 4, nel consentire gli interventi di recupero anche “in assenza” degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, si pone in contrasto con i principi stabiliti dalla normativa statale all’articolo 9 (Attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) del d.P.R. n. 380 del 2001 - che individua l’attività edilizia realizzabile in assenza di strumentazione urbanistica (generale e attuativa) ed in relazione al quale le leggi regionali possono introdurre unicamente limiti più restrittivi - violando l’articolo 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia “governo del territorio” (cfr. C. Cost. sent. n. 84 del 2017).
L’articolo 5, nell’individuare “Disposizioni applicative ed ambiti di esclusione”, prevede che la legge “trova applicazione diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai regolamenti edilizi vigenti”, salvo che negli ambiti o per gli immobili esclusi dai Comuni in ragione di particolari motivi di carattere ambientale, storico, artistico, urbanistico ed architettonico. L'applicazione della norma “è comunque esclusa nelle aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta dagli atti di pianificazione territoriale ovvero nelle aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico”. Si prevede inoltre che “Per motivate esigenze derivanti da eventi alluvionali, sismici, geologici o idrogeologici, i Comuni possono aggiornare gli ambiti di esclusione anche successivamente alla decorrenza del termine di 90 giorni”. La disposizione presenta profili di illegittimità per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento all’65, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006. La disciplina regionale, nel consentire la riconversione in destinazione d’uso residenziale di vani accessori, può determinare un incremento del carico abitativo incompatibile con le prescrizioni del piano di bacino volte a tutelare dal rischio idrogeologico. La norma regionale, in particolare, esclude dall’ambito di applicazione della legge soltanto le aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta (quindi non quelle in cui il piano di bacino si limita a vietare l’incremento del carico urbanistico). Inoltre, vieta la riconversione solo nelle aree “ad elevato rischio idrogeologico”, quando invece per ragioni di pubblica incolumità simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio (Moderato (R1), Medio (R2), Elevato (R3), Molto elevato (R4). Si rileva, inoltre, che spetta alla regione perimetrare le aree di rischio e che, sebbene la legge preveda che i comuni possano introdurre alcune limitazioni agli interventi di recupero, il fatto che molti enti locali non dispongano di professionalità e conoscenze adeguate a gestire l’estrema complessità e novità dei fenomeni in atto può comportare un pregiudizio alle esigenze di tutela dal rischio idrogeologico sottese alla disciplina statale in materia.
L’articolo 7 riguarda l’applicazione del Piano Demaniale marittimo regionale sulle aree della Riserva Naturale Pineta Dannunziana. In particolare, tale disposizione prevede la prevalenza del “Piano Marittimo Regionale, ovvero di quello Comunale di recepimento”, su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale, assunte in epoca antecedente al 24 febbraio 2015, n. 20. La disposizione presenta profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento all’art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge n. 394 del 1991. Premesso che la disciplina in materia di aree protette, sia statali che regionali, contenuta nella legge n. 394 del 1991, rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, si osserva che la Regione non può derogare alle norme statali ma solo «determinare, sempre nell’àmbito delle proprie competenze, livelli maggiori di tutela» (sentenze n. 193 del 2010 e n. 61 del 2009; sent. n. 44 del 2011). Più nello specifico, il Giudice costituzionale ha avuto modo di precisare che «la disciplina statale delle aree protette, che inerisce alle finalità essenziali della tutela della natura attraverso la sottoposizione di porzioni di territorio soggette a speciale protezione», risponde a tali finalità per mezzo di due differenti tipi di strumenti: la regolamentazione sostanziale delle attività che possono essere svolte in quelle aree, come le «limitazioni all’esercizio della caccia» (sentenza n. 315 del 2010, n. 44 del 2011), e la «predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della flora e della fauna» (sentenza n. 387 del 2008, n. 44 del 2011). Ebbene, la legge regionale censurata contiene profili di contrasto con strumenti dell’uno e dell’altro tipo tra quelli predisposti dalla legislazione statale. In particolare, prevedendo che il Piano Marittimo Regionale, ovvero di quello Comunale di recepimento siano prevalenti «su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale», la disposizione viola l’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 394 del 1991, che include tra i principi destinati a governare le aree protette regionali quello secondo il quale le attività svolte nelle medesime siano governate in base a regolamenti adottati in conformità al precedente art. 11 della legge n. 394 del 1991. E’ infatti evidente che la dichiarata prevalenza della pianificazione sopra evocata rispetto alla normativa a carattere ambientale determina la loro prevalenza anche sul regolamento dell’area protetta adottato in base alla medesima. Ancora, per analoghe ragioni deve ritenersi violato il successivo comma 6 del medesimo art. 22. Tale disposizione prevede quanto segue «Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente». La dichiarata prevalenza del Piano Marittimo Regionale, ovvero di quello Comunale di recepimento, rispetto alla normativa ambientale è quindi in grado di comportare anche la deroga a tali previsioni.”
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