La Corte costituzionale, con la sentenza n. 77/2021 depositata in data odierna, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 della legge della Regione Veneto 23 dicembre 2019, n. 50 (Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Norme in materia di edificabilità dei suoli”).
L’art. 1 della legge impugnata dal Consiglio dei ministri prevede che, «[n]elle more dell’entrata in vigore della normativa regionale di riordino della disciplina edilizia, la Regione del Veneto, in attuazione dei principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell’azione amministrativa, promuove, in coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, consentendo la regolarizzazione amministrativa delle parziali difformità edilizie risalenti nel tempo, secondo le modalità e le procedure di cui alla presente legge».
Secondo il ricorrente, tali disposizioni e l’impugnato art. 2 – il quale consente, «a tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell’azione amministrativa», la «regolarizzazione amministrativa» delle opere edilizie «provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilità od agibilità» ed «eseguite in parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10», mediante presentazione di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e previo pagamento di sanzione pecuniaria – si porrebbero in contrasto con la normativa statale di principio nella materia «governo del territorio», e in particolare con gli artt. 31, 33, 34, 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito: t.u. edilizia).
In particolare, le norme impugnate introdurrebbero, al di fuori di quanto previsto dalla normativa nazionale, ipotesi nelle quali è possibile sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria; inoltre, nel consentire, all’art. 2, la regolarizzazione di variazioni che comportino «un aumento fino a un quinto del volume dell’edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi», ovvero «un aumento fino a un quinto della superficie dell’edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati», esse derogherebbero ai limiti di tolleranza fissati dall’art. 34, comma 2-ter, t.u. edilizia; infine, introdurrebbero una sanatoria degli abusi edilizi senza il rispetto del requisito della “doppia conformità” di cui agli artt. 36 e 37 t.u. edilizia.
La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione.
In allegato la sentenza della Consulta