In caso di operazioni inesistenti, se il Fisco prova che il cessionario o il committente era consapevole dell’intento evasivo o fraudolento, l’Iva non è neutrale anche se le fatture sono state emesse in inversione contabile, di conseguenza è illegittima la detrazione d’imposta applicata. È questo, in estrema sintesi, il chiarimento fornito nella norma di interpretazione autentica contenuta nella legge di bilancio 2023 per rimuovere ogni dubbio sull’argomento.
In particolare, l’articolo 1, comma 152, della legge 197/2022, sancisce che “all'articolo 6, comma 9-bis.3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in materia di violazioni degli obblighi relativi a operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto applicata mediante inversione contabile, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le disposizioni dei periodi precedenti non si applicano e il cessionario o committente è punito con la sanzione di cui al comma 6 con riferimento all'imposta che non avrebbe potuto detrarre, quando l'esecuzione delle operazioni inesistenti imponibili è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole»”.
Quindi, in materia di violazioni degli obblighi relativi a operazioni Iva soggette all’inversione contabile, viene chiarito che se è provata la consapevolezza da parte del cessionario o del committente del fine evasivo o fraudolento perseguito dall’utilizzo di fatture per operazioni imponibili inesistenti, non può trovare applicazione il regime di neutralità contemplato nella prima parte del comma 9-bis.3 dell’articolo 6 del Dlg n. 471/1997.
Visto il persistente contrasto interpretativo, l’intervento normativo si può ritenere che abbia natura non innovativa ma interpretativa, infatti ha la finalità di chiarire definitivamente la portata e l'ambito applicativo dell'articolo 6, commi 9-bis.3 del Dlgs n. 471/1997, “in nome del supremo principio, nazionale e sovranazionale, di certezza del diritto”.
La rivista online dell'Agenzia delle entrate ricorda, al riguardo, che nelle quattro puntate dell’approfondimento “Viaggio nel reverse charge sulla detraibilità dell’Iva”, pubblicate a inizio 2022 su FiscoOggi, sono stati analizzati gli aspetti peculiari del meccanismo dell’inversione contabile.
Tale istituto comporta che l’acquirente, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato, è obbligato all’assolvimento dell’imposta in luogo del cedente. Quest’ultimo è tenuto a emettere fattura senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti del Dpr n. 633/1972, il cosiddetto decreto Iva, e con l’indicazione della norma che prevede l’applicazione dell’inversione contabile.
Obiettivo del reverse charge è quello di “trasformare” il cessionario in debitore dell’Iva per rendere più complicata l’evasione dell’imposta, infatti “l’uso di un meccanismo di inversione contabile comporta un minor rischio di spostamento della frode sul commercio al dettaglio”.
Il legislatore con il Dlgs n. 158/2015 aveva introdotto delle modifiche alle sanzioni amministrative previste dal Dlgs n. 471/1997. La riforma richiamata aveva revisionato anche la disciplina sanzionatoria del sistema dell’inversione contabile, in particolare introducendo i commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 dell’articolo 6 del suindicato decreto.
Alla fine della serie di approfondimenti si era arrivati alla conclusione che, passati vari anni dalla riforma, convivevano ancora interpretazioni contrastanti della disciplina, anche in relazione alla portata e all'ambito applicativo dell'articolo 6, commi 9-bis.3 del Dlgs n. 471/1997, in particolare in relazione alle fatture per operazioni inesistenti in reverse charge.
A fornire chiarimenti è intervenuta la Corte suprema di cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 22727 dello scorso 20 luglio che, richiamando anche l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, ha ribadito che il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, per cui, anche in regime di inversione contabile, in caso di dimostrata inesistenza dell’operazione, la detrazione è preclusa.
Tale sentenza a sezioni unite deriva dall’ordinanza n. 1703/2022, pubblicata il 20 gennaio 2022, con la quale la sezione tributaria della Cassazione ha rimesso gli atti al primo presidente della Corte perché valutasse l'opportunità di devolvere alle sezioni unite “la soluzione della questione volta a verificare se, ed in quali limiti, alle operazioni inesistenti soggette al regime d'inversione contabile si applichi la normativa sanzionatoria sopravvenuta introdotta dal d.lgs. n.158/2015, che ha novellato l'art. 6 del d.lgs. n.471/1997, introducendo i commi 9- bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3”.
L’esigenza mostrata dalla quinta sezione deriva dal fatto che vi sono numerose sentenze di legittimità che riconducono la detrazione dell’Iva in inversione contabile all’effettività (soggettiva e oggettiva) dell’operazione, tuttavia l’orientamento giurisprudenziale non è univoco, infatti, ci sono alcune sentenze, tra le quali le nn. 32552, 32553 e 32554 del 2019, che si discostano dall’orientamento prevalente della suprema Corte.
La norma di interpretazione autentica inserita nella legge di bilancio 2023, e qui in commento, non sembra discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione.
Dalla lettura del suindicato comma 152 sembrerebbe che l’Iva non è detraibile se il cessionario o il committente era o poteva essere a conoscenza del fatto che le fatture in inversione contabile si riferivano a operazioni (imponibili) inesistenti.
In sintesi, se l’Amministrazione finanziaria possiede elementi sufficienti per contestare l’inesistenza dell’operazione in capo al cessionario o committente, l’Iva non è neutrale anche se le fatture sono state emesse in reverse charge.
Dal punto di vista sanzionatorio, invece, è applicabile la penalità per illegittima detrazione dell’imposta, oltre a quella prevista per la violazione derivante dalla presentazione della dichiarazione infedele.
In conclusione, se il Fisco riesce a provare che il cessionario o il committente era consapevole dell’intento evasivo o fraudolento delle fatture in inversione contabile, riferibili a operazioni imponibili constatate come inesistenti, non si applica il regime di neutralità dell’Iva.