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Riciclo materiali edili, le buone pratiche nel Rapporto di Legambiente

In Italia viene riciclato solo il 10%, ma la Direttiva 2008/98/CE prevede che nel 2020 si raggiunga il 70%

mercoledì 4 novembre 2015 - Redazione Build News

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Oggi in Italia, dove ci sono circa 2.500 cave da inerti e almeno 15.000 abbandonate, di cui oltre la metà sono ex cave di sabbia e ghiaia, “non esistono più motivi tecnici, prestazionali o economici per non utilizzare materiali provenienti da riciclo nelle costruzioni”.

Lo evidenzia Legambiente nel primo Rapporto dell’Osservatorio Recycle presentato oggi in un convegno a Ecomondo, la vetrina per la Green e Circular Economy nell'area Euro-Mediterranea. Il Rapporto descrive “cantieri e capitolati dove queste innovazioni sono già state portate avanti” e “dimostra come se si fa riferimento a norme codificate basate sulle prestazioni, i materiali da riciclo e recupero di aggregati risultano assolutamente competitivi sul piano tecnico e anche del prezzo”.

L’obiettivo dell’Osservatorio Recycle, promosso da Legambiente, è di raccontare e approfondire l’innovazione già in corso nel settore della produzione di aggregati riciclati. Un processo che oggi è spinto anche dalla Direttiva 2008/98/CE che prevede che nel 2020 si raggiunga un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione.

GLI OSTACOLI. Se in teoria oggi non esistono impedimenti tecnici o motivazioni di natura normativa che ne impedirebbero l’utilizzo, in realtà la diffusione di materiali provenienti dal recupero ha di fronte forti ostacoli in Italia.

Il primo problema – spiega il Rapporto - riguarda i cantieri dei lavori pubblici e privati, dove spesso i capitolati sono una barriera insormontabile per gli aggregati riciclati. In molti capitolati è previsto l'obbligo di utilizzo di alcune categorie di materiali e di fatto ne è impedita l'applicazione per quelli provenienti dal riciclo. Per fare chiarezza su questa situazione nel Rapporto sono descritti alcuni esempi pratici che dimostrano l’efficacia degli aggregati riciclati e degli asfalti derivati dal riutilizzo di pneumatici usati. Tra i lavori stradali e quelli edilizi è chiaro come ormai si possa intervenire con l’utilizzo di questi materiali in situazioni molto diverse fra loro (dal Palaghiaccio di Torino al nuovo Molo del Porto di La Spezia, dal Passante di Mestre all’Aeroporto di Malpensa). La Provincia di Trento è uno dei migliori esempi in Italia vista la pubblicazione di un capitolato tecnico per l'uso dei riciclati nei lavori di manutenzione pubblica, con le schede prodotto e l'elenco prezzi, destinato proprio a promuovere tra gli addetti ai lavori questo tipo di materiali. Per cambiare questa prospettiva serve che le stazioni appaltanti, pubbliche e private, e a tutti i livelli cambino i propri capitolati per impedire queste discriminazioni. In questa direzione vanno le proposte presentate con il capitolato speciale d’appalto RECYCLE, elaborato da Legambiente in collaborazione con Atecap, Eco.Men ed Ecopneus, che si pone l’obiettivo di stimolare le stazioni appaltanti a intraprendere la strada già fissata dall’Europa.

L'obiettivo è di contribuire attraverso questo strumento a "calarsi" nei diversi capitolati esistenti (sono centinaia, e impossibili da sostituire con un capitolato unico) per introdurre i corretti e aggiornati riferimenti normativi che permettono di superare le barriere e le discriminazioni oggi esistenti. I capitolati rappresentano uno snodo fondamentale per fare chiarezza in particolare nell’utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati e superare quella diffidenza da parte dei direttori dei lavori legata alla paura delle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali.

Il secondo problema riguarda lo scenario che la Direttiva 2008/98/CE dovrebbe aprire nel nostro Paese. Perché questo processo vada avanti servono infatti riferimenti chiari per accompagnare la crescita nell'uso dei materiali fino al target del 70% previsto al 2020. La Direttiva indica con chiarezza la necessità di accompagnare attraverso specifici provvedimenti questi processi e sono previsti decreti attuativi dallo stesso Decreto Legislativo 205/2010 che l'ha recepita nel nostro ordinamento. L'articolo 11 della Direttiva prevede che si adottino "criteri in materia di appalti" per favorire il riutilizzo. Il DL di recepimento prevede che questi criteri siano definiti attraverso Decreti attuativi approvati dai Ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico (Art. 6 del Dlgs 205/2010). Inoltre la Direttiva prevede all'articolo 29 che gli Stati possano stabilire dei propri traguardi intermedi, proprio per monitorare lo sviluppo della situazione al 2020.

Il rischio che non dobbiamo correre è che l'applicazione di questa direttiva risulti un’ occasione sprecata, come avvenuto con l’applicazione del DM 203/2003 che già prevedeva per le società a prevalente capitale pubblico di coprire con il 30% del fabbisogno di manufatti e beni attraverso materiali riciclati. Come raccontano le risposte avute da alcune grandi stazioni appaltanti che si trova in fondo a questo rapporto, è diffusa la non applicazione di questi obiettivi per mancanza di corrette informazioni sui prodotti riciclati, per pigrizia o per interessi stratificati nel tempo intorno alla gestione dei materiali di cava e alla gestione di cantieri dove si fa largo uso di acqua, prodotti petroliferi. Per questo serve che il Governo intervenga per dare forza a questo percorso di cambiamento.

I VANTAGGI. I vantaggi che questo tipo di prospettiva aprirebbe sono infatti rilevanti. In primo luogo in termini di lavoro e attività imprenditoriali, perché le esperienze europee dimostrano che aumentano sia l’occupazione che il numero delle imprese attraverso la nascita di filiere specializzate.

In secondo luogo, nella riduzione del prelievo da cava. Perché arrivando al 70% di riciclo di materiali di recupero si genererebbero oltre 23 milioni di tonnellate di materiali che permetterebbero di chiudere almeno 100 cave di sabbia e ghiaia per un anno.

Infine, da un punto di vista della riduzione di emissioni di gas serra. Perché aumentando la quantità di pneumatici fuori uso recuperati e utilizzati fino a raddoppiarla al 2020, diventerebbe possibile riasfaltare 26.000 km di strade. Il risparmio energetico ottenuto, considerando che non si userebbero più materiali derivati dal petrolio, sarebbe di oltre 400.000 MWh. Ossia il consumo in più di due anni di una città come Reggio Emilia, con un taglio alle emissioni di CO2 pari a 225.000 tonnellate.

LE PROPOSTE

Cambiare i capitolati fissando obiettivi prestazionali. Da Anas alle concessionarie autostradali, da RFI a Terna, fino alle stazioni appaltanti comunali, occorre che siano rivisti tutti i capitolati che ancora fissano barriere per l'utilizzo di materiali riciclati. I capitolati rappresentano infatti uno snodo fondamentale per fare chiarezza nell’utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati e per superare la diffidenza da parte dei direttori dei lavori legata alla paura delle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali. La responsabilità è in capo alle Stazioni appaltanti ma anche ai Ministeri delle Infrastrutture e dell'Ambiente perché siano introdotti quei chiarimenti previsti dalle Direttive europee.

Attuare la Direttiva Europea introducendo obblighi crescenti di utilizzo di aggregati riciclati. I Ministeri dell'Ambiente e delle Infrastrutture devono dare seguito a quanto previsto dalle Direttive europee, in termini di chiarimenti normativi e di obblighi crescenti nei capitolati di utilizzo degli aggregati/materiali di recupero minimo e crescente fino al 70% già previsto al 2020. In questo modo si possono costruire le condizioni per raggiungere gli obiettivi europei prefissati. Questo obiettivo deve interessare non solamente gli Enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, come previsto attualmente per il solo 30% dei materiali, dal Decreto Ministero dell’Ambiente 203/2003, ma tutte le opere senza distinzione. Inoltre nei bandi di gara si deve prevedere che a parità di altre condizioni debba preferirsi l’offerta che proponga la più alta percentuale di impiego dei materiali riciclati o comunque non di origine naturale.

A dimostrare come questo cambiamento sia possibile, lo dimostra l'esempio della Provincia di Trento. La Legge Provinciale n. 10 del 2004 ha introdotto l’obbligatorietà di acquistare prodotti in materiale riciclato per almeno il 30% del fabbisogno. I requisiti ambientali chiesti alle imprese sono stati poi definiti dalle norme tecniche e ambientali per gli aggregati riciclati (D.G.P. 1333/2011) ed hanno interessato tutte le fasi (programmazione e progettazione, realizzazione e manutenzione) con la stessa Provincia di Trento che in qualità di soggetto acquirente dà ormai costantemente il suo contributo allo sviluppo del mercato degli aggregati riciclati.

OCCORRE UN CAMBIAMENTO CULTURALE. Il cambiamento di cui abbiamo bisogno – sottolinea il Rapporto di Legambiente - è infatti innanzi tutto culturale, riguarda progettisti, imprese, Enti pubblici. Ed ha bisogno di una attenta azione di informazione e di formazione, oltre che di riferimenti operativi in grado di fornire indicazioni chiare e precise sulle caratteristiche che i materiali di recupero devono avere per essere utilizzati nell’ambito delle costruzioni. In tale contesto ben si inserisce l'esempio che la Regione Veneto ha dato con propria deliberazione n. 1060 del 24/06/2014; delibera che, per ogni materiale recuperato ai sensi del D.M. 5/2/98 ed utilizzabile nel settore delle costruzioni, ha definito per ogni possibile impiego previsto dal DM tutti i puntuali riferimenti normativi UNI-EN applicabili.

Per questo ha bisogno di una chiara visione del futuro, come quello disegnato dall'Europa, e poi di una attenta azione di informazione e di formazione, oltre che di riferimenti operativi in grado di fornire indicazioni chiare e precise sulle caratteristiche che i materiali di recupero devono avere per essere utilizzati nell’ambito delle costruzioni.

Secondo il Rapporto l'Italia ha la possibilità di far crescere una moderna filiera delle costruzioni in cui siano le stesse imprese edili a gestire il processo di demolizione selettiva degli inerti provenienti dalle costruzioni in modo da riciclarli invece che conferirli in discarica. Governo e Regioni devono aiutare questo processo con leggi che obblighino a utilizzare una quota di inerti provenienti dal recupero in tutti gli appalti pubblici. Le quantità più rilevanti di materiali estratti ogni anno in Italia sono utilizzate per l’edilizia e le infrastrutture, oltre il 62,5% di quanto viene cavato sono inerti, principalmente ghiaia e sabbia. Serve una spinta rapida se si considera che ogni anno vengono prodotte quasi 40 milioni di tonnellate di rifiuti inerti e che la capacità di recupero sfiora a mala pena il 10%, anche se con differenze significative tra Regione e Regione. L’Italia, attraverso queste scelte, può recuperare il ritardo nei confronti degli altri Stati europei che già da tempo hanno introdotto politiche di riciclo che coinvolgono questa particolare categoria di rifiuti: l’Olanda con il 90% dei materiali recuperati è la nazione più virtuosa, seguita da Belgio (87%) e Germania (86,3%). Esistono tra l’altro esempi importanti e positivi anche nel nostro Paese come dimostra ciò che avviene in Veneto, dove si producono in media oltre 5.500.000 di tonnellate all’anno di rifiuti da C&D, di cui più dell’ 80% vengono avviati a recupero e utilizzato anche in infrastrutture stradali.

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