Europa e Usa, simili nell'approccio all'immigrazione
L'Europa sta diventando sempre più simile all'Usa, in un senso sia positivo che negativo- ha dichiarato Aaron Betsky (foto) sulle pagine della rivista on line Architech, organo ufficiale dell'American Istitute of Architechts, AIA. Il giornalista esperto in architettura ha sottolineato come da un lato (quello positivo) l'Europa abbia annullato negli ultimi anni gran parte dei confini, riducendo o eliminando del tutto le restrizioni che limitavano l'accesso agli Stati membri, così come l'Usa ha fatto (il cosiddetto 'American dream' ne è il testimone) nei decenni passati, accogliendo manodopera e 'cervelli' da tutto il mondo. L'errore, però- e qui veniamo al lato negativo- è stato quello di non saper gestire l'integrazione e il mix multiculturale. Anche e sopratutto da un punto di vista progettuale, di pianificazione urbanistica, favorendo lo sviluppo di linee di confine separatorie, di veri e propri ghetti governati da logiche di appartenenza a status sociali o razziali. E l'Europa sta facendo la stessa cosa. La dura prova a cui gli Stati europei sono sottoposti nelle ultime settimane a causa del flusso inarrestabile di profughi siriani- sottolinea Betsky- è un qualcosa che gli Stati Uniti non hanno mai dovuto affrontare ma l'accoglienza non dovrebbe mai essere sinonimo di ghettizzazione o peggio di complicità nel crimine contro l'umanità.
Perchè i rifugi temporanei sono inadeguati
L'integrazione a partire dalla pianificazione urbanistica
E poi, i campi si trovano sempre ai margini delle città, altro grave errore secondo Friedrich. Perché l'unica strategia efficiente per gestire la convivenza è quella di consentire ai profughi di vivere in mezzo agli abitanti, di essere accolti all'interno dei nuclei urbani e non in aree degradate ed isolate rispetto al tessuto cittadino. Ribadendo come la motivazione, in genere addotta dalle autorità governative, riguardo la carenza di spazi sia infondata- perché esistono un numero spropositato di edifici ed aree abbandonate e non utilizzate- Friedrich ha annunciato di star lavorando con i sui studenti di Architettura allo sviluppo di nuove tipologie abitative e progetti di riqualificazione urbana rivolti ai rifugiati. “Come architetto, voglio proporre al mio Paese forme alternative di alloggio e soluzioni che mettano i politici nella condizione di non poter che accettare.”
MODELLI ALTERNATIVI PER L'ACCOGLIENZA
Sono diversi i modelli abitativi destinati ai profughi proposti dal gruppo di studenti guidato dal professor Friedrich. Rispondono tutti ai principi di: riuso di spazi vuoti, rigenerazione urbana, sostenibilità ed economicità. Sono stati chiaramente pensati specificatamente per la città di Hannover ma alcune idee potrebbero essere facilmente 'rubate' e riproposte in qualsiasi città di qualsiasi paese. Vediamone alcune.
Prefabbricati in legno
Orti multiculturali
Case galleggianti
Resti di Expo 2000
Il padiglione olandese dell'Expo tenutosi ad Hannover nel 2000 non è mai stato utilizzato dopo la fine dell'Esposizione. Gli studenti suggeriscono di ampliarlo e di convertirlo in un campo profughi. Il grande giardino al terzo piano offrirebbe un'area comune piacevole e che dovrebbe fungere anche come collegamento alla zona residenziale adiacente, favorendo l'integrazione di quartiere.
Parcheggi
La responsabilità sociale dell’architetto
E' una responsabilità dello Stato e degli organi competenti quella di affidarsi al parere esperto di architetti, progettisti e pianificatori anche nelle questioni sociali, come quella inerente l'accoglienza dei rifugiati. Ma dovrebbero essere anche gli architetti stessi a 'donare' la propria professionalità alle giuste cause, restituendo all'Architettura quel valore sociale che spesso viene dimenticato, offuscato da 'smanie di vanità'. A risollevare l'annosa questione è anche Cameron Sinclair, architetto londinese di fama internazionale, fondatore di Architecture For Humanity e da poco alla guida di una nuova organizzazione di beneficienza, Small Works, e che ha fatto, quindi, dell’impegno civile il suo principale obiettivo lavorativo. A soli 41 anni, Sinclair annovera un portfolio ricco di progetti e di iniziative, perlopiù a scopo umanitario. Fra le più recenti: il progetto re:build (strutture per le comunità di rifugiati o altre popolazioni bisognose, ri-utilizzabili che possono essere di volta in volta rimodulate in modo da divenire, a seconda delle necessità, una scuola, una clinica o una casa), attualmente operativo a Za’atari in Giordania e ad Amman all’interno del Queen Rania Park; la collaborazione pe la realizzazione dei rifugi targati Ikea e diversi lavori in corso sul confine siriano.
Passiamo la nostra vita- spiega Sinclair in una (lunga) intervista rilasciata alla rivista online di architettura e design Dezeen magazine in merito alla recente ‘questione siriana’, che sta mettendo in ginocchio l’Europa- a fare grandi opere, dal grande valore estetico o ingegneristico, pensando che questa sia la strada più conveniente per ottenere delle soddisfazioni, economiche soprattutto. Ma non è necessariamente così. Non è vero che di sociale non si mangi. E’ possibile vivere dell’impegno sociale e potrebbe esserlo ancor più se i modelli finanziari che regolano gran parte delle economie occidentali venissero ribaltati. E poi gli architetti dovrebbero credere di più nell’importanza del loro ruolo.
Tornando alla questione siriana, l’architetto evidenzia poi un errore comunemente commesso dalle no-profit e dai progettisti coinvolti in progetti di gestione dell’emergenza: investire troppo in campi profughi.
Talvolta- spiega l’architetto- si spendono inutilmente miliardi su miliardi per dar vita a campi che nel giro di qualche mese vengono smantellati e in cui i profughi spesso si rifiutano di vivere. Un conto è la gestione dell’emergenza, un altro è restituire alla popolazione servizi e strutture in cui poter vivere. La nostra organizzazione- spiega Sinclair- ha scelto di riutilizzare ponteggi, impalcature per dar vita a strutture temporanee per poi investire, invece, nella ricostruzione delle comunità. L’unica via per offrire alle popolazioni coinvolte un futuro è quello di reinserirle in un contesto comunitario, dove spazi di aggregazione, di svago e soprattutto scuole hanno la stessa importanza, se non maggiore, di un tetto sopra la testa.