Gli enti del Servizio sanitario nazionale che pagano in ritardo i fornitori hanno l’obbligo di prevedere, nei contratti dei direttori generali e amministrativi, uno specifico obiettivo che condizioni almeno il 30 per cento dell’indennità di risultato al rispetto dei tempi di pagamento previsti per legge.
È quanto si legge nella sentenza n. 78 depositata il 24 aprile 2020 (redattore Luca Antonini) con cui la Corte costituzionale ha respinto i ricorsi della Regione Lazio e delle Province autonome di Trento e di Bolzano riguardanti, tra l’altro, l’articolo 1, comma 865, della legge n. 145 del 2018 che ha sancito quest’obbligo specifico.
La Corte ha ricordato che il rispetto dei tempi di pagamento da parte dei soggetti pubblici ha, soprattutto in tempi di crisi, una notevole incidenza sul sistema economico. Ha anche precisato che le riforme in precedenza introdotte e le risorse stanziate, se hanno consentito indubbi miglioramenti, non sono state però sufficienti a riportare a dimensioni fisiologiche il fenomeno dei ritardi dei pagamenti. Tant’è che, con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di giustizia, grande sezione - rimarcando la necessità di un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi e precisando che lo Stato italiano è responsabile anche dei ritardi degli enti territoriali - ha dichiarato il venir meno di quest’ultimo agli obblighi sui tempi di pagamento stabiliti dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE.
Ciò premesso, la Consulta ha chiarito che la disposizione censurata si inserisce all’interno di un insieme di ulteriori interventi – rispetto a quanto considerato dalla Corte di giustizia – predisposto dalla legge 145/2018 per contrastare il fenomeno dei ritardi. La Corte ha quindi rigettato le censure delle ricorrenti precisando che la norma rientra nella competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile ed è finalizzata al coordinamento dinamico della finanza pubblica, in quanto orienta la spesa pubblica verso il rispetto dei tempi di pagamento. Inoltre, la sentenza evidenzia che – a differenza di altre norme statali dal carattere marcatamente “lineare”, in passato dichiarate costituzionalmente illegittime – la norma impugnata non si applica qualora l’ente rispetti i tempi di pagamento (per cui nulla è innovato per gli enti virtuosi) e gradua le misure in relazione alla gravità dell’inadempimento.
Con la stessa sentenza sono state dichiarate infondate anche le censure della regione Sicilia sull’obbligatoria istituzione in bilancio di uno specifico fondo di garanzia se l’ente non rispetta i tempi di pagamento o non riduce a sufficienza lo stock di debiti commerciali (articolo 1, commi 859, 862 e 863, della legge 145/2018). Queste norme consentono di disporre della liquidità necessaria a velocizzare i pagamenti e anche di ridurre l’esposizione per interessi passivi, con l’effetto virtuoso di consentire il recupero di risorse da destinare alle attività istituzionali.
In allegato la sentenza della Consulta