Prima dell'entrata in vigore del decreto Fare (d.l. n. 69/2013), che ha introdotto importanti modifiche al Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), il concetto di ristrutturazione edilizia presupponeva la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare provvisto di murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
Di conseguenza, era stata sempre esclusa la possibilità che la ricostruzione di un rudere potesse ricondursi entro la nozione di ristrutturazione, trattandosi, al contrario, di un intervento del tutto nuovo. Si riteneva, infatti, che la mancanza dei suddetti elementi strutturali rendesse impossibile qualsiasi valutazione circa l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare.
MODIFICHE CON IL DECRETO FARE. Con gli interventi modificativi apportati dal citato d.l. 692013, si è notevolmente ampliato il concetto di ristrutturazione, limitando l'obbligo del rispetto della sagoma ai soli immobili vincolati e introducendo la possibilità di ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti.
L'articolo 3, comma primo, lettera d) del D.P.R. 380/01, nella formulazione attualmente vigente, così definisce gli interventi di ristrutturazione: «interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente».
LA GIURISPRUDENZA DELLA CASSAZIONE. In proposito, la giurisprudenza della Cassazione ha precisato che, considerata la disciplina ora vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, devono ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è possibile accertare la preesistente volumetria delle opere, le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente sagoma dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura semplificata della SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) se si tratta di opere che non rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e rispettano la preesistente volumetria, anche quando implicano una modifica della sagoma dell'edificio.
Tali interventi impongono, quale imprescindibile condizione, che sia possibile accertare la preesistente consistenza di ciò che si è demolito o è crollato e che tale accertamento dovrà essere effettuato con il massimo rigore e dovrà necessariamente fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie etc., in base ai quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza del manufatto preesistente.
NUOVA PRECISAZIONE DELLA SUPREMA CORTE. Tale principio è condiviso dalla terza sezione penale della Cassazione, che con la sentenza n. 45147/2015, depositata l'11 novembre, aggiunge l'ulteriore precisazione che “l'utilizzazione del termine «consistenza», da parte del legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d) 380/01 inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali dell'edificio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesto dalla norma. Parimenti, detta verifica non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma dovrà, invece, basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili”.