La questione all’esame della sesta sezione del Consiglio di Stato attiene alla legittimità del divieto di prosecuzione dell’attività edilizia posta in essere dalla società appellante sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività relativa ad un intervento consistente nella demolizione e ricostruzione di un edificio.
La società appellante ha effettuato lavori di ristrutturazione in base ad un permesso di costruire del 28 dicembre 2012, n. 56, rilasciato dal Comune di Cercola. Il Comune in data 25 febbraio 2014 - a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della variante NTA del piano regolazione generale, con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania del 24 luglio 2013, n. 3830 – ha annullato in sede di autotutela, con atto del 25 febbraio 2014, n. 2368 il permesso di costruire precedentemente rilasciato.
Lo stesso Tribunale, con sentenza 3 giugno 2014, n. 3039, ha rigettato il ricorso avverso l’annullamento in autotutela. Il Comune ha emesso, pertanto, l’ordine di demolizione 20 gennaio 2015, n. 2.
La società ha impugnato tale ordine di demolizione e il Tribunale amministrativo, con sentenza 26 maggio 2015, n. 2910, passata in giudicato, ha accolto il ricorso.
Successivamente a quest’ultima sentenza, la ricorrente ha presentato segnalazione certificata di inizio attività 31 luglio 2015, n. 8699. Il Comune, con telegramma 4 agosto 2015, ha comunicato alla società il «provvedimento di divieto di prosecuzione di segnalato inizio attività». Con successiva nota del 9 settembre è stata comunicata alla società la richiesta all’Agenzia delle entrate di determinare il valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite.
La società ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, che con sentenza 27 novembre 2015, n. 5492 ha rigettato il ricorso. La ricorrente in primo grado ha pertanto proposto appello presso il Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza della sesta sezione n.4835/2017 depositata il 18 ottobre, lo ha accolto.
Palazzo Spada ricorda che “l’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che sono qualificati interventi di ristrutturazione edilizia, tra gli altri, anche «gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica»”.
L’art. 10, comma 1, lettera c), dello stesso decreto “individua, in modo tassativo, quali sono gli interventi per i quali è necessario il permesso di costruire e tra essi indica soltanto «gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni».
L’art. 22, comma 1, lettera c) dispone che sono assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività, tra l’altro, «c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c.»”.
L’intervento in esame, osseva il Consiglio di Stato, “rientra tra quelli per i quali è sufficiente, ai sensi del citato art. 22, comma 1, lettera c), la segnalazione certificata di inizio attività. Ne consegue l’illegittimità del diniego da parte del Comune di proseguire nello svolgimento della relativa attività”.
In secondo luogo, “tale qualificazione è stata effettuata con sentenza n. 2910 del 2015, passata in giudicato, dello stesso Tribunale amministrativo. In essa si è espressamente affermato che «l’intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, senza modifica di sagoma, superficie, volume e destinazione d’uso, non richiederebbe necessariamente il permesso di costruire, ma potrebbe essere realizzato mediante dia/scia». Tale sentenza, nei suoi passaggi più rilevanti, viene richiamata nella sentenza oggetto della presente impugnazione ma essa, poi, in modo contraddittorio rispetto alla prima parte della motivazione, rigetta il ricorso, rilevando la non sufficienza della scia”.
In terzo luogo, “l’atto impugnato è privo di adeguata motivazione, in quanto il divieto imposto viene motivato in ragione della generica «mancanza di titoli autorizzativi», laddove, come sostiene correttamente l’appellante, la scia è una segnalazione sostitutiva dei titoli autorizzativi”.
Infine, “l’annullamento della variante urbanistica, che ha condotto l’amministrazione ad adottare, inizialmente, l’atto di autotutela del permesso di costruire, non incide sull’intervento in questione atteso che lo stesso, per le ragioni esposte, non ha costituito una nuova edificazione con aumento di volumetria ma un mero intervento di ristrutturazione con invarianza della volumetria pregressa”.
In definitiva, “l’atto di «divieto di prosecuzione di segnalato inizio di attività», impugnato in primo grado, deve essere annullato, il che determina la privazione di effetti, a prescindere dalla sua natura, anche della richiesta che l’amministrazione comunale ha inoltrato all’Agenzia delle entrate”.