“L'architetto compie un gesto vecchio come l'uomo perché l'uomo - anzi, ogni creatura vivente – per esistere deve occupare uno spazio. In quest'ottica ogni spazio è sempre pubblico. Inoltre lo spazio, specie lo spazio urbano, custodisce la storia e ne è plasmato. Questa duplice consapevolezza deve essere elemento fondante di qualsivoglia intervento progettuale capace di interrogarsi sul ruolo anche sociale e politico dell'architetto, sospeso fra memoria e nuove sfide, come quella dei cambiamenti climatici”.
Lo ha detto l'architetto Mario Botta in un confronto con Vittorio Gregotti al Festival dell'economia di Trento sui temi della creatività, del rapporto con lo spazio pubblico, dei vincoli posti dal mercato.
Entrambi gli architetti hanno modellato città e a volte hanno sanato le loro ferite, hanno plasmato i luoghi e hanno reso fruibili gli spazi pubblici.
Vittorio Gregotti – riferisce il sito del Consiglio nazionale degli architetti - ha espresso un giudizio molto severo sul presente, sulla società "mercantile" e "neocoloniale", sullo stato "disastroso" delle città e dei territori, e di conseguenza anche sul ruolo svolto oggi nello spazio pubblico dall'architettura, sulla sua capacità di essere pratica artistica e di esercitare al tempo stesso un sapere critico.
Botta ha invece espresso una visione meno radicale e più "pacificata", pur non eludendo gli interrogativi problematici posti dal presente.