Sentenze

Sanzioni per interventi edilizi abusivi, la Consulta boccia le norme della Toscana

Producono un effetto di sanatoria amministrativa straordinaria di immobili abusivi, senza alcuna limitazione volumetrica e al di là delle modalità e dei tempi disciplinati dalle normative statali

venerdì 20 novembre 2015 - Redazione Build News

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Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri contro gli articoli 25, 26 e 27 della legge n. 65/2014 della Regione Toscana “sono inammissibili”.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 233/2015 depositata ieri 19 novembre.

CONFERENZA DI COPIANIFICAZIONE. La legge della Regione Toscana n. 65 del 2014, nel riscrivere la disciplina regionale in materia di governo del territorio, con l'art. 25 istituisce la conferenza di copianificazione – in cui sono rappresentati tutti gli enti territoriali della Regione –, ne regola il funzionamento, e assegna a tale organo il compito di esprimere un parere, fatte salve alcune eccezioni, in merito a tutte le previsioni di trasformazione del territorio che comportino impegno di suolo non edificato all’esterno del territorio urbanizzato. Si tratta, dunque, di una norma che detta la disciplina generale della conferenza di copianificazione, com’è confermato dalla circostanza che ad essa fanno espresso rinvio molte disposizioni (non impugnate) della medesima legge regionale.

La Consulta osserva che l’Avvocatura generale dello Stato si limita a riprodurre il testo dell’art. 25, senza esplicitare, nell’illustrazione dei motivi di ricorso, alcuna ragione che induca a dubitare della legittimità della disposizione rispetto ai parametri evocati, i quali assegnano allo Stato la tutela della concorrenza e obbligano le Regioni ad introdurre discipline conformi al diritto dell’Unione europea.

GRANDI STRUTTURE DI VENDITA. Per la Corte costituzionale sono parimenti inammissibili le censure avverso gli artt. 26 e 27 della legge regionale, per carenza di adeguata motivazione. Tali disposizioni stabiliscono che la conferenza di copianificazione esprime un parere anche in caso di previsioni di grandi strutture di vendita, di aggregazioni di medie strutture di vendita aventi effetti assimilabili alle grandi strutture, e di medie strutture di vendita, individuando i criteri in base ai quali tale valutazione deve essere espressa.

L’Avvocatura generale dello Stato si limita ad affermare che le disposizioni censurate, «pur se relative a motivazioni di tipo urbanistico, aggravano il procedimento autorizzatorio per le medie strutture di vendita in forma aggregata, […], creando, di fatto, ulteriori tipologie di strutture commerciali».

In tal modo, in primo luogo, il ricorrente non tiene in alcun rilievo la necessaria distinzione tra le valutazioni svolte in sede di pianificazione urbanistica e quelle compiute in fase di autorizzazione all’apertura delle strutture commerciali. In secondo luogo, non chiarisce in che cosa consisterebbe l’aggravamento procedurale cui sarebbero soggette le previsioni di aggregazioni di medie strutture di vendita. In terzo luogo, non spiega per quale motivo la scelta normativa di considerare, in fase di pianificazione urbanistica, l’«aggregazione» di più strutture commerciali si tradurrebbe in una limitazione della concorrenza tra operatori.

ILLEGITTIMI GLI ARTT. 207 E 208 SU SANZIONI E OPERE PER INTERVENTI EDILIZI ABUSIVI. La Consulta ha invece accolto il secondo motivo di ricorso, poiché gli impugnati artt. 207 e 208 della legge regionale n. 65 del 2014 sono in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

Si è in presenza di una normativa riferibile ad opere e interventi edilizi, esplicitamente qualificati, dalla stessa legge regionale, come «abusivi», e quindi di un intervento afferente alla materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nel cui ambito alle Regioni spetta l’adozione di una disciplina legislativa di dettaglio, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

In particolare, per tali opere ed interventi, viene prevista, in deroga alla disciplina generale dettata dagli artt. 196, 199, 200 e 206 della citata legge regionale (delineata sulla falsariga di quella prevista in generale dalle norme statali del testo unico sull’edilizia), l’applicazione di sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le ipotesi in cui la valutazione discrezionale dell’autorità comunale competente per territorio conduca ad escludere la persistenza di un interesse attuale al ripristino dello status quo ante.

DUE EFFETTI. Pur disponendo che il versamento delle somme corrispondenti alle sanzioni amministrative pecuniarie – differenziate a seconda dell’epoca di realizzazione ed ultimazione delle opere e degli interventi edilizi, con esclusione di quelli anteriori al 1° settembre 1967 e ricadenti all’esterno della perimetrazione dei centri abitati – «non determina la legittimazione dell’abuso» (comma 3 di entrambi gli articoli), le norme impugnate producono due evidenti effetti sostanziali.

Il primo di essi consiste − in considerazione dell’esclusione della sanzione demolitoria (e della succedanea acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale, in caso di inadempimento dell’ordine di demolizione), in generale prevista per gli immobili abusivi dal testo unico sull’edilizia e dalle corrispondenti norme della stessa legge della Regione Toscana − nella conservazione, in mano privata, del patrimonio edilizio esistente.

Il secondo effetto, di non minore portata, consiste nella possibilità di eseguire ulteriori interventi edilizi – sotto forma di «demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile lorda o di volume» (attività rispettivamente previste dai commi 7 e 6 degli artt. 207 e 208) – previa emanazione di appositi piani operativi, che diventano addirittura superflui per gli immobili ultimati al di fuori dei centri urbani e prima del 1° settembre 1967. Anzi, il comma 4 dell’art. 207 si spinge a definire tali ultimi manufatti quali «consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio».

CONDONO EDILIZIO STRAORDINARIO. La combinazione di queste due conseguenze produce, per tutti gli immobili oggetto di disciplina, gli effetti tipici di un «condono edilizio straordinario», che si differenzia, in quanto tale, dall’istituto a carattere generale e permanente del «permesso di costruire in sanatoria», disciplinato dagli artt. 36 e 45 del testo unico sull’edilizia.

In tema di condono edilizio “straordinario”, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell’intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l’individuazione delle volumetrie massime condonabili.

Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale. Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati princìpi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di «ampliare i limiti applicativi della sanatoria» (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di «allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato» (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale.

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