Nella riunione del 28 luglio scorso il Consiglio dei ministri ha impugnato dinanzi alla Corte costituzionale la Legge regionale della Campania n.20 del 13 giugno 2016 che detta norme per l’applicazione pianificata del fuoco prescritto.
La norma contenuta nell’articolo 6 , stabilisce, al comma 6, che, nei confronti dei soggetti responsabili di dichiarazioni mendaci, si applicano le sanzioni penali richiamate dall'art.76 del DPR 28 dicembre 2000, n.445 oltre ad una sanzione pecuniaria da un minimo di euro 1000 ad un massimo di euro 15.000 "maggiorata degli eventuali danni derivanti".
La norma è inserita nell'articolo rubricato "segnalazione certificata di inizio attività" e al comma richiama espressamente l'art.19 della legge n.241/1990.
Secondo il Governo tale norma regionale, “nel porre al riguardo disposizioni semplificate sul piano del procedimento inserisce direttamente un trattamento sanzionatorio più favorevole, stante il richiamo del citato art.76 all'art.483 c.p., rispetto a quello previsto dal medesimo art.19 c. 6 della legge n.241/1990, che espressamente stabilisce in materia di SCIA: «ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente I'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni»”.
Prevedendo un regime sanzionatorio meno severo rispetto a quello statale per le medesime fattispecie, la disposizione “viola l’art. 117, comma 2. lettera l) della Costituzione,che pone una competenza statale esclusiva in materia di ordinamento penale”.
Il Governo osserva inoltre che “II vulnus costituzionale appare vieppiù evidente con riguardo alla previsione del successivo comma 7 del medesimo art.6 che estende la punibilità anche in caso di omissione della SCIA o della comunicazione di apertura del cantiere, mediante mero richiamo "alla sanzione di cui al comma 6".
Occorre tuttavia rilevare che la norma prevede una mera SCIA, in forma estremamente semplificata e contempla il rilascio della autorizzazione, nel termine di trenta giorni in caso di silenzio dell'amministrazione, all'applicazione pianificata di fuoco prescritto senza distinzioni circa i luoghi dell'intervento. In proposito, giova rammentare che il regime sanzionatorio posto dalla normativa statale è volto a bilanciare l'ulteriore semplificazione procedimentale connessa alla SCIA. Pertanto, se si considera che le sanzioni penali in caso di false attestazioni sono funzionali a disincentivare abusi nel ricorso a forme procedimentali semplificate, è evidente che la disposizione censurata ha l'ulteriore conseguenza di determinare un livello inferiore di tutela dell'interesse pubblico rispetto a quello previsto dalla legge statale.
Il dato è ancora più evidente con riguardo alla procedura prevista dall'art.7 che, in materia di incendi controllati nei settori delle attività agro-silvo-pastorali, impone meri obblighi di comunicazione preventiva.
Tali forme semplificate contemplate dagli artt. 6 e 7 della legge regionale in esame non corrispondono al modello di cui all'art.19 della legge nazionale citata, ponendosi quindi in contrasto con esso.
In particolare, richiamato l'oggetto dell'attività soggetta alla mera segnalazione del suo inizio, si deve rilevare come la legge regionale omette di escludere l'applicazione della comunicazione prevista dall'art.7, così come della procedura di cui all'art.6, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, come espressamente stabilito dall'art.19 c. 1 della legge n.241/1990”.
Quindi, per il Governo la norma regionale si pone “in contrasto con il citato art. 19 e quindi viola l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione (tutela dell'ambiente e dei beni culturali). L’avvio contestuale dell'attività, con la previsione di un controllo minimo ed ex post è suscettibile di determinare la grave ed irreversibile lesione del delicatissimo bene ambientale tutelato, vanificando così la funzione di tutela prevista dalla normativa nazionale”.
L'art. 19, c.3, della L. n. 241/1990, dispone che «in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti ... nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione», l’'Amministrazione «adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato all'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni».
È quindi “evidente l'ulteriore contrasto tra la normativa regionale, sotto il profilo della scansione temporale, e quella contenuta nella disciplina statale regolante la SCIA, con la conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. La Corte Costituzionale, infatti, ha chiarito che la disciplina della SCIA è espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di livelli essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (cfr. sentenze nn. 164 e 203 del 2012), con la conseguenza che, secondo quanto previsto dall’art. 29, comma 2-quater, l.n. 241/1990, le Regioni possono discostarsene solo per prevedere “livelli ulteriori di tutela”.