Con la sentenza n. 51/2017 depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 23, comma 3, e 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
Nel corso di sei giudizi promossi da varie società e imprenditori individuali attivi nel settore del fotovoltaico, i quali chiedevano l’annullamento di provvedimenti sanzionatori adottati, nei loro confronti, dal Gestore dei servizi energetici ai sensi e in applicazione della disposizione di cui all’art. 43, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, il Consiglio di Stato ha sollevato, con altrettante ordinanze di pressoché identico contenuto, questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 43, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 25, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione (quest’ultimo) anche all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU).
La norma denunciata si riferisce agli impianti fotovoltaici ai quali l’art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (Misure urgenti per garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, ha esteso lo speciale regime incentivante previsto dal cosiddetto “secondo conto energia” (decreto del Ministero dello Sviluppo economico 19 febbraio 2007) a condizione che «abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l’installazione dell’impianto […] ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011». A tale riguardo, dispone che fatte salve le norme penali – qualora, in sede di esame della domanda di incentivazione, sia stato accertato che i lavori di installazione dell’impianto, contrariamente a quanto dichiarato dal richiedente, non siano stati conclusi alla data suddetta – «il GSE rigetta l’istanza di incentivo e dispone contestualmente l’esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell’impianto non ammesso all’incentivazione. Con lo stesso provvedimento il GSE dispone l’esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell’accertamento della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta» e degli altri soggetti ivi elencati.
ART. 23, COMMA 3, DEL D.LGS. N. 28 DEL 2011. L'articolo 23, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 prevede, a regime, che «non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci». Ed, a sua volta, aggiunge che «fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell’accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta» ed agli altri soggetti ivi indicati.
In allegato la sentenza della Consulta