Il 14 maggio FINCO è stata audita presso la 9a Commissione Senato della Repubblica e X Commissione della Camera dei Deputati sullo schema di Decreto Legislativo recante semplificazione dei controlli sulle attività economiche (Atto del Governo n. 150).
Nel documento consegnato in sede di audizione si legge:
"Illustrissimni Signori Senatori e Deputati,
nel rilevare l’importante opportunità che questo provvedimento presenta e nel ringraziare per l’odierna Audizione, FINCO deve altresì notare come, sebbene in esso siano presenti condivisibili aree di semplificazione, altre sono assenti.
Come non condividere un articolato teso a semplificare gli adempimenti amministrativi non necessari o non proporzionati a fronte dei fallimenti sin qui registratisi nell’opera di semplificazione, come la stessa relazione illustrativa del provvedimento sottolinea?
Questi fallimenti, ripetuti e “bipartisan”, inducono a chiedersi cosa vi sia alla base di tale persistente incapacità della Pubblica Amministrazione, centrale ed anche locale (in questo senso il livello regionale e la legislazione concorrente, e già la parola è significativa, ha notevolmente complicato la situazione in termini di adempimenti e di costi) ad essere un soggetto di controllo e regolazione certo, ma al contempo, di aiuto e non di ostacolo, come di fatto avviene oggi, in molti casi , allo svolgimento della vicenda economica del nostro Paese (Un esempio di tali situazioni non concludenti è dato dal Decreto Semplificazioni D.L. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure Urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” che, peraltro, non era né semplice né breve: 61 pagine di Gazzetta Ufficiale, cioè il doppio in termini reali, più 80 pagine di tabelle - e purtroppo non è la prima volta- Tale Decreto sembrava concepito più per facilitare il lavoro degli Uffici che per i cittadini contribuenti, con una serie di distinguo eccessivi e molte disposizioni che avrebbero dovuto essere perentorie e non ordinatorie. E troppi verbi declinati al futuro, come di consueto.).
Solo per restare all’ultimo trentennio non c’è un Ministro della Funzione Pubblica o della Pubblica Amministrazione come chiamarsi voglia, che non abbia stigmatizzato il fardello che un cattivo funzionamento della macchina pubblica costituisce per l’economia del Paese, da Urbani a Frattini, da Cassese a Bassanini, da Brunetta a Patroni Griffi, dalla Madia alla Buongiorno, fino all’attuale Zangrillo e certamente ne dimentichiamo qualcuno. Il punto è che oltre alla parte normativa e di indirizzo occorre prevedere una parte prescrittiva, perentoria e non ordinatoria, e controllarne l’attuazione: questa seconda parte è perennemente mancata. Occorrerebbe, dunque, uno sforzo specifico in questo senso a partire da alcuni aspetti che, in particolare, riguardano anche e specialmente i settori che Finco rappresenta. Sotto questo profilo si ritiene imprescindibile condividere un approccio generale solo apparentemente semplicistico che nel provvedimento dovrebbe essere recepito.
Approccio in base al quale la Pubblica Amministrazione – intendendo per tale quella centrale e periferica, le Regioni, i Comuni, le Comunità Montane e tutti gli Enti Pubblici e quelli vigilati, controllati o in essa comunque incardinati, ivi compresi gli Istituti Previdenziali e di Assicurazione quali Inps e Inail nonché le Autorità Indipendenti quali Banca d’Italia etc. – non può richiedere a cittadini e imprese alcun documento o informazione già in suo possesso senza eccezione o deroga alcuna. In caso di accertamento, su segnalazione scritta del cittadino e/o impresa che comprovi tale richiesta, i funzionari responsabili sono sottoposti a provvedimenti disciplinari. Al contempo, nessun adempimento nei confronti delle medesime Amministrazioni può comportare per cittadini e imprese l’erogazione di somme distinte, su conti correnti diversi , con marche da bollo etc. Il versamento a carico del contribuente sarà unico, con evidenza della ripartizione della relativa destinazione, ma tale ripartizione sarà un atto endoprocedimentale all’interno della P.A., cui spetterà il compito di destinare le somme in relazione alle eventuali plurime competenze amministrative.
C’è invero già dal 1968 una Legge che prevede l’inibizione a richiedere informazioni già in possesso della P.A., poi corroborata da norme successive, ma spesso non è applicata: si provi a fare una pratica edilizia, ad avere incombenze testamentarie e di successione, a rinnovare un passaporto, peraltro con costi indecenti e ingiustificabili, o si provi a mettere in regola una collaboratrice domestica con il recente Decreto sull’emersione del lavoro irregolare. Chiunque può portare decine di esempi. Le poche righe citate basterebbero perché lo stress di produrre inutile documentazione passi dal rapporto cittadino/ contribuente/P.A. all’interno dell’Amministrazione. In pratica, se un’Amministrazione non fornisce all’altra i dati sono – come devono essere – problemi interni allo Stato.
La situazione poi si è aggravata con lo smart working, che troppo spesso è smart per chi lo pratica ma non per chi dovrebbe fruire dei relativi servizi, e, comunque, è applicabile ad una ridotta tipologia di mansioni. Il punto, al solito, non è tanto individuare i problemi, ma risolverli: e qui “casca l’asino”, perché non si può evitare di prendere provvedimenti duramente impopolari di controllo e verifica . Occorre che ci sia un salutare contrasto di interessi tra amministrazione “istante” e amministrazione eventualmente “renitente” a trasmettere i dati in proprio possesso. E a cosa dovrebbe servire tutta la digitalizzazione promossa anche in ambito PNRR se non per andare in primis a beneficio dei cittadini? Questo dovrebbe essere il faro, affidando il controllo – ad esempio – alle Associazioni dei Consumatori, e utilizzando le Camere di Commercio come sportello di reale assistenza di seconda istanza, in caso di “insuperabili” difficoltà
Il tema della semplificazione e poi legato a filo doppio con quello della liberalizzazione.
E poi, purtroppo, invece, ci troviamo di fronte a declinazioni del tutto erronee di “semplificazione” in tema di appalti di lavori, senza gare – cioè con affidamento diretto – fino a 150 mila euro (prima era fino a 40 mila), con cinque inviti fino a un milione di euro, 10 inviti – sia pure a rotazione – fino alla soglia comunitaria di 5,3 milioni di euro. Fino a questa cifra, in sostanza, niente bandi pubblici! Più che semplificazione, sembra una sottrazione al mercato e alla trasparenza. Per l’incapacità delle stazioni appaltanti di unificarsi e di attrezzarsi, siamo costretti a questo. Immaginate in alcune zone del nostro Paese cosa ciò vorrà dire.
Venendo all'articolato, il naturalmente limitato tempo non consente di entrare nel merito di tutti gli articoli, rispetto ai quali abbiamo inviato e preparato per la distribuzione un documento in varie copie. Iniziamo tuttavia a sottolineare l'importanza...".