Si è svolta ieri l’audizione dell’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulle politiche di prevenzione antisismica e sui modelli di ricostruzione a seguito di eventi sismici.
Il Vice Presidente Vicario, Gabriele Buia, che ha guidato la delegazione associativa, ha evidenziato in premessa come l’Italia sia un Paese fragile illustrando, a tal proposito, una serie di dati. Le aree a elevato rischio sismico (zone 1 e 2 secondo la Classificazione sismica della Protezione Civile 2015) sono circa il 44% della superficie nazionale (131 mila kmq) e interessano il 36% dei comuni (2.893). In tali aree vivono 21,8 milioni di persone (36% della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie e si trovano circa 6,2 milioni di edifici. In queste zone, lo stock abitativo è di circa 5,2 milioni di immobili, per lo più concentrati nella zona 2, pari a 4,3 milioni. Con riferimento alla tipologia di struttura edilizia, per gli edifici residenziali emerge una prevalenza della muratura portante (il 54,6% del totale, pari a 2,8 milioni di edifici), mentre il calcestruzzo armato è stato utilizzato in media per il 33,6% degli immobili. Il restante 11,8% è stato costruito con altro materiale (ad esempio acciaio, legno ecc..).
Lo stock abitativo delle zone a maggior rischio sismico risulta molto vetusto. Il 74% degli edifici residenziali, pari a 3,8 milioni di immobili, è stato costruito prima della piena operatività della normativa antisismica per nuove costruzioni. Di questi 3,1 milioni di edifici abitativi si trovano in zona 2 e poco meno di 700mila in zona 1.
Dal 1944 a oggi in Italia i terremoti che hanno colpito moltissime zone, da Sud a Nord, del Paese, hanno causato la perdita di decine di migliaia di vite, e determinato incalcolabili conseguenze economiche per il rallentamento o la distruzione di intere economie territoriali oltre che provocato danni per circa 181 miliardi di euro (2,5 miliardi l’anno).
Numeri altrettanto preoccupanti emergono con riferimento al dissesto idrogeologico. Le aree ad elevata criticità idrogeologica interessano, infatti, il 9,6% circa della superficie territoriale del Paese e l’82% dei comuni italiani. Si stima che la popolazione potenzialmente esposta a rischio idrogeologico sia pari a 5,8 milioni di persone (2,4 milioni di famiglie), e gli edifici interessati siano circa 1,3 milioni.
Negli ultimi 80 anni, si sono verificati più di 5.400 alluvioni e 11.000 frane. Ma è osservando l’andamento dei fenomeni di dissesto negli ultimi cinquanta anni che la situazione si fa più preoccupante. I dati registrano infatti una crescente incidenza degli eventi ed un progressivo aumento del rischio per la popolazione.
In Italia, nonostante gli sforzi del Governo attuale, gli interventi per la messa in sicurezza del territorio sono ancora troppo spesso delegati alla politica dell’urgenza: si interviene per fronteggiare le conseguenze del disastro e per contenerne i danni con provvedimenti dall’efficacia ridotta, ma dai costi elevati.
Ogni anno vengono spesi circa un miliardo di euro per i danni dovuti ad alluvioni e frane. Si tratta di risorse che potrebbero essere più efficacemente spese in prevenzione piuttosto che in ricostruzione (per non considerare l’incalcolabile valore delle vite umane perse in molti eventi).
Su questo tema, il Vice Presidente ha evidenziato come la stessa Commissione europea abbia più volte sottolineato, nell’ambito delle procedure di valutazione dei conti pubblici italiani, che il costo degli interventi straordinari post-eventi rischia di mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione Europea in materia di rapporto deficit/Pil e debito/Pil.
L’Italia, inoltre, risulta il maggiore beneficiario del fondo di solidarietà dell’Unione con circa 1,32 miliardi di euro ottenuti, pari circa un terzo dell’importo totale erogato ai 28 Paesi europei negli ultimi 15 anni (3,78 miliardi di euro).
Dalla lettura dei dati emerge la necessità di superare il paradosso della realtà italiana: quello di un Paese esposto a forte rischio che investe solo nella fase emergenziale e poco in prevenzione ma, soprattutto, quello di un Paese che è il maggiore beneficiario del fondo europeo di solidarietà per le grandi calamità naturali e può scontare dal Patto di stabilità e crescita europeo le spese effettuate durante l’emergenza ma, finora, non ha potuto ricevere nessuno sconto per la fase di prevenzione nell’ambito della cosiddetta “flessibilità di bilancio”.
Le conseguenze del sisma che ha colpito il Centro Italia il 24 agosto scorso sono una triste dimostrazione dell’esigenza di definire politiche di prevenzione in una prospettiva di lungo periodo e di carattere strutturale. Una grande sfida attende ora il Paese; una sfida alla quale lo stesso Governo ha voluto dare una dimensione nazionale con la costituzione di “CASA ITALIA”.
Di fronte a questi dati il Vice Presidente Buia ha sottolineato la necessità di un’azione forte e risolutiva per attivare un Programma pluriennale di riduzione del rischio, dotato di risorse certe e stabili, che permetta di intervenire, anzitutto, nelle aree di maggiore pericolosità (zone 1 e 2 della classificazione sismica).
Sul fronte delle risorse, buone notizie arrivano dal disegno di legge di bilancio, approvato dal Consiglio dei Ministri del 15 ottobre scorso, che prevede 7,4 miliardi di euro per la ricostruzione delle zone terremotate.
QUATTRO LINEE D'AZIONE. Il Vice Presidente Buia, è poi passato ad illustrare le quattro linee d’azione in cui si declina la proposta dell’ANCE sui temi oggetto dell’indagine:
- prevedere regole che consentano di aumentare il livello di conoscenza e consapevolezza, da parte della popolazione, del rischio sismico;
- utilizzare la leva fiscale delle detrazioni di imposta per consentire di realizzare gli interventi di miglioramento antisismico che permettano di mettere in sicurezza interi edifici;
- fissare un congruo periodo per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici in zona 1 e 2 della classificazione sismica valutando con attenzione le possibili misure da assumere nei confronti dei proprietari inadempienti;
- avviare un’azione finalizzata alla sostituzione edilizia non solo di singoli immobili, ma anche di interi comparti edilizi utilizzando la leva della messa in sicurezza sismica.
Il Vice Presidente Buia ha, inoltre, evidenziato la necessità di introdurre nel settore privato un sistema di qualificazione che premi il know how aziendale per garantire la corretta e adeguata realizzazione degli interventi.
Infine, si è soffermato sul tema della ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 24 agosto scorso, esprimendo l’apprezzamento dell’ANCE per il Decreto legge 189/2016, recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016” (DDL 2567/S) attualmente all’esame della Commissione Bilancio del Senato che, nel suo impianto complessivo, sembra poter garantire un piano di interventi all’insegna dell’efficienza, della trasparenza e della legalità.