Nel settembre del 2016, a valle dei tragici eventi del sisma del 24 agosto, il Governo Italiano ha deciso di avviare un programma pluriennale - denominato “Casa Italia”, di promozione della sicurezza del Paese a fronte di rischi di origine naturale, affidando a una Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di delineare i contenuti del progetto, dando priorità al tema della sicurezza delle abitazioni.
Il “Rapporto sulla Promozione della sicurezza dai Rischi naturali del Patrimonio abitativo”, pubblicato dalla Struttura di Missione Casa Italia, sintetizza i risultati dell’attività della Struttura di missione, fornendo in particolare:
- un quadro sistematico sul tema del miglioramento della sicurezza del patrimonio abitativo a fronte dei rischi di origine naturale e una “visione” delle modalità per affrontarlo;
- una ricognizione delle principali attività già in corso presso soggetti pubblici e privati, funzionali a questi obiettivi generali, per assicurarne la valorizzazione ed evitare ogni inutile duplicazione;
- un elenco di Piani d’azione prioritari, costruiti a legislazione e amministrazione ordinaria per assicurarne l’applicabilità sull’intero territorio nazionale, necessari per completare e raccordare le iniziative in atto.
IMPOSTAZIONE GENERALE DEL PROGETTO. Le Considerazioni introduttive chiariscono l’impostazione generale del progetto. Da un lato, si è scelto di:
- agire in modo sistematico su tutte e tre le componenti del rischio (pericolosità degli eventi, vulnerabilità degli edifici, livello di esposizione di persone e beni), privilegiando interventi che non obblighino le persone e le comunità a modificare le proprie condizioni di vita;
- affrontare in modo integrato i diversi rischi naturali (sismico, idrogeologico, vulcanico, legato a cambiamenti climatici…);
- costruire soluzioni che valorizzino le potenzialità delle innovazioni tecnologiche sviluppate sia nell’edilizia che in altri settori (sensoristica, big data, comunicazioni satellitari, nuovi materiali).
Dall’altro, si è preso atto della necessità di progettare una politica di promozione della sicurezza che sia coerente con le specificità del nostro Paese, responsabile non solo amministrativamente, ma anche culturalmente nei confronti dell’intera umanità di un patrimonio storico-culturale e paesaggistico unico; è un’esigenza che non consente di replicare in modo acritico soluzioni valide in altre parti del Mondo e che richiede interventi specifici sia rispetto a singoli edifici sia rispetto alle comunità e ai territori.
IL QUADRO DELLE INFORMAZIONI DISPONIBILI SU PERICOLOSITÀ, VULNERABILITÀ ED ESPOSIZIONE AI RISCHI NATURALI. La I parte del Rapporto analizza il quadro delle informazioni disponibili su pericolosità, vulnerabilità ed esposizione ai rischi naturali ed è articolata in due capitoli, il primo dei quali analizza i dati a livello di unità amministrativa (specificamente, il comune), mentre l’altro approfondisce il tema con riferimento a un singolo edificio residenziale.
Il Capitolo 1 presenta una analisi delle basi di dati che oggi sono curate da istituti di ricerca ufficiali e nazionali, coprono l’intero territorio nazionale e la cui risoluzione spaziale consenta di permettere l’identificazione e il confronto delle specificità locali. La ricognizione effettuata (che ha coinvolto CNR, ISPRA, ISTAT, ENEA, INGV e MIBACT) ha evidenziato la presenza di molte informazioni, ma frammentate e disperse, con livelli qualitativi differenti rispetto a diverse tipologie di rischio.
Questo quadro rende difficile a un singolo cittadino conoscere il livello di sicurezza che caratterizza il luogo in cui abita e a chi è responsabile delle scelte politiche di individuare in modo oggettivo le priorità di intervento. E’ stato quindi avviato un lavoro di integrazione e condivisione dei dati, con la creazione della Mappa dei rischi naturali dei comuni italiani, curata dall’Istat con il concorso degli enti citati in precedenza, accessibile a tutti i cittadini e in grado di fornire una informazione comprensibile e omogenea sul territorio nazionale.
Il Capitolo 2 analizza invece le informazioni disponibili a livello di un singolo edificio, il cui livello di rischio può essere sensibilmente differente rispetto alla media di quelli del comune dove è localizzato, tanto che da tempo si discute della possibile obbligatorietà di un vero e proprio fascicolo del fabbricato. La ricognizione ha evidenziato come già oggi le pubbliche amministrazioni dispongano di molte informazioni utili per misurare il livello di sicurezza e di qualità ambientale di un edificio, pur con una frammentazione delle informazioni tra diversi soggetti e una copertura parziale del patrimonio abitativo. Si è quindi ritenuto prioritario, rispetto alla previsione di nuovi obblighi normativi, assicurare che le informazioni già oggi esistenti siano rese fruibili e i diversi sistemi interoperabili, attraverso la progettazione di un Repository unico delle informazioni sugli edifici, che dovrebbe essere gestito dall’Agenzia delle Entrate-Catasto.
LE POLITICHE PER LA RIDUZIONE DELLA PERICOLOSITÀ DEI FENOMENI NATURALI, DELLA VULNERABILITÀ DEGLI EDIFICI E DEL LIVELLO DI ESPOSIZIONE. La II parte esamina le politiche per la riduzione della pericolosità dei fenomeni naturali, della vulnerabilità degli edifici di fronte a tale eventi e del livello di esposizione di persone e cose.
Il Capitolo 3, in particolare, analizza le politiche per la riduzione della pericolosità dei fenomeni idrogeologici. In questo quadro, il ruolo del Governo centrale è di assicurare una conoscenza approfondita del territorio nazionale – in modo da identificare le priorità di intervento –, definire linee guida e finanziare e monitorare gli interventi. Poiché su questi ultimi aspetti è già attiva presso la Presidenza del Consiglio la Struttura di missione “Italia Sicura”, il rapporto si è focalizzato sulla effettiva possibilità che le informazioni oggi disponibili consentano di determinare correttamente le priorità di intervento. Emerge invece purtroppo un quadro informativo disomogeneo, frammentario e poco aggiornato, in cui le singole Autorità di bacino seguono modalità di rilevazioni dei dati differenti, rendendoli di fatto non comparabili. Inoltre, il 50% dei Piani Stralcio dell’Assetto Idrogeologico (PAI) non è stato aggiornato negli ultimi 5 anni. E’ prioritario migliorare la disponibilità e la qualità dei dati adottando una metodologia unica per redigere le mappe di pericolosità – secondo le indicazioni che vengono espresse in modo dettagliato nel capitolo – sfruttando, nel contempo, le opportunità che derivano dalle tecnologie satellitari per un monitoraggio più frequente, in particolare delle frane a cinematismo lento.
Il Capitolo 4 analizza le politiche per la riduzione della vulnerabilità degli edifici, particolarmente rilevanti a fronte di eventi sismici. In questo ambito, il Governo ha agito in modo importante nella Legge di stabilità 2017, estendendo l’entità e l’ambito di applicazione del cosiddetto bonus sismico.
Tuttavia, il sostegno finanziario costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente, per innescare effettivamente gli interventi di riduzione della vulnerabilità; esso deve essere accompagnato da una consapevolezza diffusa della necessità di intervenire sugli edifici più vulnerabili e dalla disponibilità di tecnologie che rendano il progetto compatibile con la fruibilità continuativa dell’edificio da parte degli abitanti. I Piani d’azione prioritari individuati nel capitolo agiscono su questi aspetti e comprendono:
- un intervento diffuso di diagnostica speditiva, con oneri a carico dello Stato, per gli oltre 550.000 edifici residenziali maggiormente vulnerabili (realizzati in muratura portante o in calcestruzzo armato prima del 1971) nei Comuni caratterizzati da maggiore pericolosità sismica, in modo da sensibilizzare i proprietari degli edifici più pericolosi per la vita umana;
- l’attivazione di 10 cantieri sperimentali, diffusi su tutto il territorio nazionale, dove applicare soluzioni che consentano di aumentare la sicurezza degli edifici senza richiedere l’allontanamento di chi vi abita;
- la realizzazione di una Scuola sicura, con funzione di Community center, che potrebbe essere idealmente estesa a tutti i Comuni a maggiore pericolosità sismica. L’intervento sui singoli edifici deve, infatti, per essere efficace, accompagnarsi al mantenimento delle infrastrutture fondamentali di una comunità, tra cui la Scuola occupa un ruolo prioritario.
Il Capitolo 5, infine, analizza le politiche di contenimento e riduzione dell’esposizione, sotto forma di divieto alla localizzazione di edifici residenziali in alcune aree o all’incentivazione al loro abbandono. Sono le politiche più “traumatiche”, perché impongono lo spostamento fisico e irreversibile delle persone, ma talvolta inevitabili. Il rapporto analizza le diverse soluzioni adottate in ambito internazionale e sottolinea come sia prioritario oggi in Italia creare un quadro conoscitivo affidabile del numero di edifici localizzati in luoghi poco sicuri, collegandolo in maniera inequivocabile alla normativa vigente. La complessità, sociale prima che tecnica, del tema, evidente, ha suggerito di affrontarlo attraverso l’approfondimento di un Caso prototipale, quello del Comune di Messina, in cui analizzare la fattibilità di diversi possibili sistemi per sostenere la decompressione abitativa delle aree a rischio (trasferimento di diritti volumetrici, incentivi fiscali,…).
POLITICHE PER IL RAFFORZAMENTO DELLA RESILIENZA DELLE COMUNITÀ, INTERVENTI FORMATIVI E PROGETTAZIONE DEL SISTEMA DI FINANZIAMENTO. La III parte analizza alcuni interventi, complementari rispetto a quelli volti a ridurre il rischio da eventi naturali ma altrettanto importanti per assicurare l’efficacia del programma Casa Italia: politiche volte al rafforzamento della resilienza delle comunità, interventi formativi e progettazione del sistema di finanziamento.
Il Capitolo 6, in particolare, discute le modalità per rafforzare la resilienza delle comunità, cioè la loro capacità di reagire agli shock determinati da eventi dannosi o catastrofici; si tratta di una capacità che, anche nel nostro Paese, ha influito in modo determinante sui tempi di recupero successivi a eventi cataclismatici. Il tema viene declinato per due diverse fattispecie localizzative, le aree urbane periferiche soggette a degrado e i territori appenninici soggetti a spopolamento e impoverimento, analizzando i casi in cui questi siano in luoghi a elevata pericolosità naturale. Per le aree urbane periferiche, dove dai primi anni ’90 sono stati investiti circa 5 miliardi di €, è prioritario uscire dalla fase sperimentale ed emergenziale che ha caratterizzato finora gli interventi, individuando delle chiare priorità strategiche – all’interno delle quali appare opportuno inserire il tema del rischio naturale, cosa mai fatta in passato – sostenendo e incentivando lo sviluppo della capacità progettuale dei Comuni coerentemente con queste priorità. Per i territori interni, i cui fenomeni di spopolamento mettono a repentaglio la conservazione del patrimonio naturale e antropico – non si può che valutare positivamente il cambio di rotta che ha caratterizzato la Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI); appare ora prioritario assicurare l’integrazione e la tematizzazione del rischio naturale e antropico come criteri prioritari di scelta dei luoghi su cui applicare l’azione pubblica e la riduzione di alcune complessità del meccanismo.
Il Capitolo 7 analizza alcune esperienze internazionali significative (tra le altre, quelle di Giappone, Nuova Zelanda e California), per individuare possibili progetti formativi in grado di enfatizzare i risultati delle politiche descritte nella seconda parte del rapporto. Sulla base di questa analisi sono stati identificati due Piani d’azione prioritari:
- il primo prevede l’uso delle Mappe del rischio naturale dei Comuni italiani – elaborate nell’ambito del progetto – come strumento di formazione all’interno delle Scuole italiane, per aumentare la consapevolezza sulla fragilità del territorio nelle generazioni più giovani e, attraverso queste, in tutta la popolazione;
- il secondo consiste nella realizzazione di un MOOC, ad accesso aperto e gratuito, basato sulle esperienze dei “10 Cantieri”. In questo modo, le soluzioni prototipali sviluppate nei Cantieri potranno generare delle vere e proprie linee guida “visive” – rese più funzionali dalla possibilità fornite dagli strumenti multimediali – a disposizione dei progettisti, accelerando la diffusione su tutto il territorio nazionale delle esperienze maturate nel progetto.
Il Capitolo 8, infine, affronta il tema della gestione finanziaria del rischio naturale. L’analisi condotta ha evidenziato come i fabbisogni finanziari dei diversi tipi di interventi abbiano un livello di prevedibilità oggi differente. Nel caso della pericolosità, è già stato stilato un elenco di circa 7.000 interventi, su base regionale, che comportano complessivamente un investimento stimato in 22 miliardi di €. Nel caso della vulnerabilità, l’entità dell’investimento dipende dagli obiettivi specifici che la politica vorrà darsi: a titolo d’esempio, il miglioramento di un livello della vulnerabilità dei soli edifici in muratura portante, localizzati nei Comuni a maggiori pericolosità sismica, comporta un investimento dell’ordine dei 36 miliardi di €; questo valore cresce naturalmente all’aumentare del livello di miglioramento desiderato e della tipologia di edifici e di Comuni coinvolti. Infine, nel caso dell’esposizione al rischio, non si dispone a oggi di informazioni sufficienti per una stima realistica degli investimenti necessari. Proprio per questo, il capitolo non individua un singolo strumento finanziario, ma analizza – alla luce delle più importanti esperienze internazionali – le alternative disponibili (assistenza finanziaria diretta, schemi assicurativi) con riferimento sia al finanziamento che al trasferimento dei rischi, allo scopo di fornire al legislatore un quadro analitico dei relativi punti di forza e di debolezza.
In allegato il Rapporto