Fire (Federazione italiana per l'uso razionale dell'energia) ha pubblicato lo studio “Luci e ombre nell’evoluzione del sistema elettrico italiano nel decennio 2004 -2014”, di Giuseppe Tomassetti, che valuta come si è ridistribuita la generazione fra le diverse tecnologie per effetto della diminuzione della domanda e per l’aumentato utilizzo delle fonti rinnovabili.
Nel documento – IN ALLEGATO - si confrontano i risultati con gli obbiettivi che la politica europea e italiana ha indicato al settore e con gli investimenti effettuati, evidenziando i cambiamenti più strutturati, in riferimento anche a cosa è avvenuto in altri paesi europei.
Il risultato più evidente è la forte crescita dell’impiego delle fonti rinnovabili, ma la riduzione delle emissioni di CO2 non è stata quella massima possibile in quanto le nuove fonti hanno sostituito il petrolio ed il gas naturale piuttosto che il carbone. Questa situazione, che si è ripetuta nei principali paesi europei, è il risultato dell’inefficace formulazione delle norme punitive, tipo carbon Tax, che avrebbero dovuto accompagnare le norme promozionali, incentivi sulle rinnovabili, nella formulazione degli obiettivi della decarbonizzazione dell’energia.
Geotermico. La potenza geotermica è cresciuta con regolarità negli anni, anche col rinnovo o rifacimento di impianti esistenti.
Eolico. Gli impianti eolici, spinti prima dal provvedimento CIP 6 poi dai certificati verdi, hanno avuto una crescita abbastanza regolare nel periodo in studio. Non vi sono installazioni in pianura con tralicci molto alti, ma soprattutto installazioni sulle creste montane, esposte alle due brezze giornaliere di una certa regolarità, oltre che alla forte ventosità, molto più irregolare.
Mentre proteste locali apparentemente poco giustificate hanno finora bloccato lo sviluppo delle iniziative nei bassofondali marini (più adatti in termini di producibilità equivalente), sono in avvio iniziative per il rinnovo ed il potenziamento dei primi parchi eolici, per un migliore sfruttamento dei siti ottimali, occupati con macchine ormai troppo piccole ed obsolete.
Fotovoltaico. Gli impianti fotovoltaici, spinti dal Conto Fotovoltaico, hanno avuto la loro massima espansione concentrata nei 3 anni 2010-2012. In quel periodo si puntò alla rapidità delle installazioni per bloccare gli incentivi senza preoccuparsi delle localizzazioni con molte installazioni sui terreni o su serre e con l’elettricità ceduta alla rete. In seguito è proseguita l’espansione di piccoli impianti in grado di valorizzare la produzione attraverso l’autoconsumo per cui i siti ottimali sono i grandi tetti degli edifici del terziario con domanda di elettricità per il condizionamento, in fase con l’insolazione estiva, oltre al contributo di altri edifici e capannoni. Una delle evoluzioni future è molto legata allo sviluppo di capacità di accumulo giornaliero per permettere di garantire consumi regolari nelle abitazioni quali il condizionamento e l’auto elettrica.
Idroelettrico. Gli impianti idroelettrici di grande taglia hanno completato la loro crescita negli anni 80, sia per la fine dei siti candidabili, sia per lo spettro del Vajont; negli anni ’70-‘90 sono stati realizzati impianti di pompaggio per 7 TWh mentre, nel decennio in studio, le realizzazioni hanno riguardato piccoli impianti, di potenza inferiore ai 5 MW, passati da 2000 unità a 3400, con nuova potenza per 2400 MW.
Parco termico. Una presentazione del parco di generazione elettrica per via termica richiede alcune assunzioni per permettere di separare, nei dati forniti da Terna, gli impianti che bruciano biomasse gassose, liquide o solide, generando elettricità incentivata e con priorità al dispacciamento, dagli impianti che bruciano combustibili fossili generando elettricità che deve competere nel mercato per trovare una domanda.
Queste assunzioni sono che:
1) tutti gli impianti alimentati a biogas, a bio-olio, a sin-gas o gas di gassificazione termica sono costituiti da motori a combustione interna;
2) tutte le biomasse solide siano impiegate in impianti con turbina a vapore, trascurando quindi i cicli Rankine a fluido organico;
3) si aggregano alle turbine a vapore gli impianti ripotenziati con l’aggiunta di turbogas in cogenerazione sui preriscaldatori dell’acqua di alimento.
Motori a combustione interna. Gli impianti a combustione interna, alimentati con combustibile fossile, si sono sviluppati per le applicazioni di cogenerazione, prevalentemente nel settore civile, con motori a metano a ciclo Otto, mentre i motori a ciclo Diesel, alimentati a gasolio, tipicamente per cantieri o emergenze, hanno un ruolo molto limitato.
Gli impianti alimentati con bioenergie hanno sia motori a ciclo Otto per il biogas, prodotto inizialmente dalle discariche e poi prevalentemente dai digestori agricoli, sia motori a ciclo Diesel, alimentati da oli vegetali di scarto o da grassi animali e vegetali.
Turbine a gas. Le turbina a gas, alimentate a metano, furono impiegate inizialmente, fine anni 70, per la funzione di picco nelle reti elettriche (impianti ormai dismessi); negli anni successivi si sono diffuse le applicazioni in cogenerazione industriale e civile; la dismissione dei vecchi impianti ha fatto diminuire il valore della potenza totale.
Cicli combinati. I cicli combinati sono costituiti dall’accoppiata di una turbina a gas, alimentata esclusivamente da metano o sin-gas, con una turbina a vapore alimentata dal vapore generato, in uno scambiatore, dai gas di scarico del turbogas; sono possibili varie combinazioni: 1) per impianti di cogenerazione di media taglia, a carico abbastanza costante, si accoppiavano meccanicamente le due turbine con un unico alternatore, configurazione a spiedo; 2) per produzione per la rete si installano due turbogas, ciascuna col suo scambiatore, con una sola turbina a vapore, configurazione che permette una maggiore flessibilità nel seguire le variazioni del carico. I rendimenti di questi impianti, inizialmente superiori al 51% si sono poi avvicinati, per le taglie più grandi, al 58-60. Le condizioni della domanda hanno però spostato l’interesse dall’efficienza di picco alla flessibilità.
In Italia all’inizio degli anni ‘90 non c’erano ancora impianti di questo tipo, nonostante industrie italiane ne avessero esportati, di taglie medie, negli anni ‘60 anche in Germania. All’epoca della riconversione del sito di Montalto di Castro, sulla base delle esperienze acquisite in Giappone, il prof. Macchi ne proponeva l’uso per le grandi taglie ma apparentemente c’era una resistenza di principio dell’ENEL per impianti vincolati all’uso di uno specifico combustibile.
La tecnologia fu introdotta, dopo il CIP 6/92 dai produttori industriali che volevano valorizzare i loro sottoprodotti gassosi o realizzare cogenerazioni ad alta efficienza.
Nel decennio sono entrati in esercizio nuovi impianti per almeno 22.000 MW, prevalentemente di grande taglia, presumibilmente quelli decisi dopo la liberalizzazione del ‘99, salvo dimissioni di vecchi impianti.
Turbine a vapore. Le turbine a vapore sono accoppiate ad una caldaia per la generazione del vapore. Le caldaie, a seconda della loro struttura e del sistema di trattamento delle ceneri e dei fumi, possono usare diversi combustibili, esistono poi vincoli logistici per il rifornimento dei combustibili solidi (carboni, legno minuzzato o pastigliato, rifiuti urbani o CSS); dal sito della centrale poi dipende la possibilità di avere acqua per il raffreddamento o la necessità di una torre di raffreddamento ad aria.
Nel decennio in esame la potenza degli impianti a vapore è scesa di circa 12.000 MW, un terzo dell’esistente, per la dismissione, senza sostituzione, delle caldaie e delle turbine ormai obsolete e/o fuori mercato, così come dei siti non più idonei. Dai dati di Terna risulta che, oggi, l’uso dei carboni è potenzialmente possibile in impianti per 8.700 MW, dedicati a questo combustibile; poi ci sono 5.300 MW di impianti ripotenziati, presumibilmente obbligati ad essere alimentati da gas naturale; resterebbero così circa 10.000 MW di impianti a vapore alimentabili a metano o prodotti petroliferi.
Nel decennio la più rilevante innovazione del settore degli impianti a vapore è costituita dalla costruzione, all’interno dello storico sito di Civitavecchia Torvaldaliga di tre unità, con caldaie a pressione supercritica, da 660 MW ciascuna, alimentate a carbone contenuto in due carbonili chiusi, con denitrificazione, desolforazione e filtro a maniche per i fumi. L'uso del carbone suscita continui conflitti, lo scontro non è tanto sul rispetto delle regole ma su aspetti di principio, con interventi di fermo delle attività per interventi della magistratura, come a Vado Ligure, per danni temuti alla salute delle popolazioni, anche se non verificati dalle misure di qualità dell’aria.
Gli impianti a vapore che bruciano legno sminuzzato, pur se incentivati dai certificati verdi, hanno avuto uno sviluppo limitato per i costi del materiale combustibile in quanto non si è stati capaci di sviluppare la fornitura nazionale e la logistica è stata subordinata a scelte politiche. Riguardo ai prezzi del materiale si osserva che i boschi italiani, peraltro raddoppiati di superficie dal dopoguerra, non solo hanno pendenze spesso elevate ma, soprattutto, sono di proprietà frammentata e spesso abbandonati, le imprese forestali sono piccole e spesso poco strutturate per cui si valuta che si raccolga dai boschi solo un quarto dell’accrescimento annuo; gli impianti più grandi bruciano materiale importato via nave ma i siti delle centrali sono stati scelti con poca attenzione alla logistica dei trasporti che richiede costosi trasbordi su gomma.
Anche gli impianti a vapore endogeno hanno avuto un’espansione ridotta, essendo limitata allo sfruttamento delle potenzialità a bassa profondità della Toscana.