“Gli articoli 3 e 7 della direttiva 80/779/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, concernente valori limite e valori guida di qualità atmosferica per l’anidride solforosa e per le particelle in sospensione, gli articoli 3 e 7 della direttiva 85/203/CEE del Consiglio, del 7 marzo 1985, concernente le norme di qualità atmosferica per il biossido di azoto, gli articoli 7 e 8 della direttiva 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo, nonché l’articolo 13, paragrafo 1, e l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non sono preordinati a conferire diritti individuali ai singoli che possono attribuire loro un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro, a titolo del principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili.”
Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea in una sentenza del 22 dicembre 2022, causa C-61/21.
Il sig. JP, residente nella regione di Parigi, sostiene che lo Stato francese non ha provveduto affinché i livelli di NO2 e PM10 nell'aria ambiente non superino i valori limite applicabili uniformemente in tutta l’Unione europea. Egli ha chiesto al Tribunale amministrativo di Cergy-Pontoise l'annullamento della decisione implicita con la quale il prefetto del Val-d'Oise avrebbe rifiutato di adottare le misure necessarie a risolvere i suoi problemi di salute connessi all'inquinamento atmosferico. Egli chiede altresì allo Stato francese un risarcimento dell’importo totale di 21 milioni di euro: ritiene infatti di subire un danno derivante dal deterioramento del suo stato di salute fin dal 2003, che sarebbe causato dal degrado della qualità dell'aria ambiente nell'agglomerato di Parigi. Tale degrado, a suo avviso, sarebbe il risultato della violazione, da parte delle autorità francesi, degli obblighi ad esse imposti ai sensi del diritto dell’Unione.
Il ricorso del sig. JP è stato respinto e, investita ora della controversia, la Corte d'appello amministrativa di Versailles domanda alla Corte Ue se, e a quali condizioni, i singoli possano chiedere un risarcimento allo Stato per i danni alla salute derivanti dal superamento dei valori limite di concentrazione di NO2 e PM10 stabiliti dalle norme di diritto dell’Unione.
Conformemente ad una giurisprudenza consolidata, qualora uno Stato membro violi l'obbligo ad esso incombente in forza dell'articolo 288, terzo comma, TFUE, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto dell’Unione esige che sia riconosciuto un diritto a risarcimento (sentenza Francovich, punto 39). Tale responsabilità può essere fatta valere dai soggetti lesi qualora siano soddisfatte tre condizioni: i) che la norma giuridica dell'Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti; ii) che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata; iii) che esista un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da detti soggetti.
Nel caso di specie, per quanto riguarda la prima di tali condizioni, la Corte di giustizia europea, riunita in Grande Sezione, ritiene che gli obblighi derivanti dalle direttive in questione non siano preordinati a conferire diritti individuali ai singoli che possano attribuire loro un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro.
Vero è che le direttive sulla qualità dell'aria prevedono obblighi chiari e precisi in merito al risultato che gli Stati membri devono garantire. Tuttavia, questi obblighi perseguono un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell'ambiente nel suo complesso. Esse non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli e non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli.
La Corte ricorda che i singoli devono tuttavia poter ottenere dalle autorità nazionali, agendo eventualmente dinanzi ai giudici competenti, che esse adottino le misure richieste ai sensi delle direttive europee, come un piano per la qualità dell’aria.
D'altra parte, ciò non esclude che la responsabilità dello Stato possa sorgere sulla base del diritto interno, a condizioni meno restrittive.
Infine la Corte rileva che i giudici di uno Stato membro possono eventualmente pronunciare ingiunzioni accompagnate da penalità volte a garantire il rispetto, da parte di tale Stato, degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.
IN ALLEGATO il testo della sentenza della Corte Ue.