Sul Bollettino n. 24 del 17 giugno 2019, sono pubblicate due segnalazioni dell'Antitrust in materia di società tra professionisti (StP), rivolte rispettivamente ai Ministeri della Giustizia e dello Sviluppo economico e al Parlamento e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella sua adunanza del 22 maggio 2019, ha deliberato di segnalare le limitazioni della concorrenza nel settore delle professioni regolamentate, derivanti dalle modalità di applicazione dell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012).
In particolare, la norma sopra citata, che ha definitivamente superato il tradizionale divieto di esercizio delle attività professionali in forma societaria, dispone che possano assumere la qualifica di società tra professionisti (di seguito STP) le società il cui atto costitutivo preveda, tra l’altro:
“l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento. In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa all'albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi” (enfasi aggiunta).
L’Autorità è venuta a conoscenza dell’esistenza di interpretazioni divergenti della disposizione normativa sopra citata. In particolare, taluni Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali hanno adottato un’interpretazione dell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011, in base alla quale i due requisiti di partecipazione ivi indicati - maggioranza dei due terzi in termini di numero di soci professionisti e di partecipazione al capitale sociale - devono ricorrere cumulativamente, a prescindere da chi esercita l’effettivo controllo sulla società. Altri Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali propongono, invece, una interpretazione in linea con la ratio della citata disposizione, secondo la quale i due requisiti non devono ricorrere cumulativamente, poiché l’autonomia statuaria e la possibilità di stipulare dei patti parasociali prevista dal diritto societario vigente consentono di assicurare il controllo sulle decisioni strategiche della STP da parte dei soci professionisti a prescindere dal loro numero e/o partecipazione al capitale sociale rispetto ai soci non professionisti. Diversamente ragionando si ridurrebbe l’efficacia dello strumento societario ora disponibile per i professionisti, restringendone ingiustificatamente la diffusione. Più in generale, tuttavia, i Consigli e/o le Federazioni di Ordini professionali lamentano l’esistenza di dubbi interpretativi dovuti alle lacune presenti nella disciplina in questione.
Al riguardo, si richiamano i precedenti interventi dell’Autorità, in cui era stato rilevato che l’organizzazione in forma societaria può comportare una serie di vantaggi per i professionisti, consentendo loro di attrarre investimenti, di diventare più competitive e di fare fronte alle sfide poste dalla concorrenza internazionale. Anche la Commissione Europea si è espressa in merito alle forme di organizzazione tra professionisti nella Comunicazione relativa alla Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del 2004, affermando che regolamentazioni restrittive in materia di struttura aziendale possono avere un impatto economico negativo se impediscono ai prestatori di sviluppare nuovi servizi o modelli aziendali efficienti sotto il profilo dei costi.
L’Autorità, pertanto, è dell’avviso che, al fine di consentire ai professionisti di cogliere appieno le opportunità offerte dalla normativa in materia di STP e le relative spinte pro-concorrenziali, vada privilegiata l’interpretazione della norma, secondo la quale i due requisiti della maggioranza dei due terzi “per teste” e “per quote di capitale” di cui all’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011 non vengano considerati cumulativi. Al riguardo, si richiama la ratio sottesa alla richiesta di tali due requisiti, rappresentata dalla necessità di limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, così da evitare che questi ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali. Tale obiettivo può essere assicurato ricorrendo ai diversi strumenti previsti dal codice civile che consentono di limitare o espandere i diritti e i poteri attributi ai soci in relazione al tipo di società scelta e alla relativa governance.
Infatti, le STP non costituiscono una tipologia societaria autonoma, ma possono assumere una delle forme societarie previste dal codice civile e sono quindi soggette alla disciplina legale del modello prescelto.
Invero, a seconda del modello societario adottato, possono essere adottati dei patti parasociali o delle clausole statutarie che garantiscano ai soci professionisti di esercitare il controllo della società, anche nella situazione in cui, nella compagine societaria, essi siano in numero inferiore ai due terzi e/o detengano quote di capitale sociale inferiore ai due terzi (ad esempio, nel caso delle società a r.l., conferendo ai soci professionisti i diritti particolari di cui all’art. 2468, comma 3, c.c., oppure nel caso delle s.p.a., limitando il diritto di voto dei non professionisti ricorrendo ad una misura massima ovvero a scaglionamenti ai sensi dell’art. 2351, commi 2 e 3, c.c., o ancora ricorrendo ad azioni speciali prive di voto).
L’Autorità ritiene che l’interpretazione della norma adottata da taluni Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali possa, invece, determinare limitazioni della concorrenza, in quanto si traduce in un ingiustificato ostacolo alla possibilità per i professionisti di organizzarsi in forma di STP.
Infatti, la richiesta del cumulo dei due requisiti implica che solo formando una determinata compagine societaria, in cui congiuntamente il numero dei soci professionisti e la loro quota di partecipazione al capitale sociale sono maggiori dei due terzi, sia possibile per i professionisti organizzarsi in STP e iscriversi alla sezione speciale del relativo Albo professionale, indipendentemente dalla tipologia di società adottata e, più importante, dalla presenza di patti parasociali e/o di clausole statutarie sui diritti di voto.
Ad avviso dell’Autorità, pertanto, la suddetta interpretazione letterale dell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge 12 novembre 2011, n. 183, in quanto ostacola la possibilità per i professionisti di scegliere l’organizzazione e la compagine societaria ritenuta più consona alle proprie esigenze, si traduce in un’ingiustificata limitazione della concorrenza, in contrasto con lo spirito della norma volta al completo superamento del divieto per i professionisti di costituirsi in società.
L’Autorità auspica che i Ministeri in indirizzo vogliano intraprendere, nell’ambito delle rispettive competenze, iniziative idonee a garantire una interpretazione uniforme di quanto disposto dall’art. 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/2011, in linea con la ratio della norma e i consolidati principi concorrenziali a cui la stessa è ispirata.
In allegato il Bolettino Agcm n. 24/2019