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Sostituzione edilizia, Architetti e ambientalisti chiedono una revisione normativa

In una lettera al Ministro Delrio, CNAPPC e Legambiente chiedono che la demolizione e ricostruzione di un edificio a fini residenziale non venga considerata nuova costruzione

martedì 15 settembre 2015 - Erika Seghetti

demolizione-ricostruzione

Prendere definitivamente atto che la condizione del patrimonio abitativo è pessima; che le periferie sono invivibili; che la prima “spending review” da fare è quella energetica e che la garanzia del nostro debito pubblico è il risparmio degli italiani di cui la metà è costituita da immobili; che se vogliamo salvaguardare questo patrimonio serve occuparsene e anche molto in fretta. Questo il cambiamento di verso necessario per l’habitat delle città e per l’edilizia e che passa inevitabilmente attraverso una forte innovazione negli approcci alle politiche di questo settore.

E’ questo il filo conduttore del Documento “Proposte per una politica di rigenerazione urbana e degli edifici”(IN ALLEGATO) - realizzato congiuntamente a Legambiente - che il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori  ha consegnato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio.

In tema di sostituzione edilizia, ossia la demolizione e ricostruzione di edifici - la più innovativa tra le proposte presentate - il Documento ricorda che “in Italia i brutti e malconci edifici delle periferie e dei sobborghi non vengono rottamati perché con le norme attuali è impossibile farlo: infatti, per demolire un edificio e ricostruirlo a parità di volume e superficie utile, bisogna chiedere un permesso di demolizione e poi  uno  per nuova costruzione”.

Essendo la sostituzione classificata come nuova costruzione, essa ricade nelle prescrizioni di densità dei piani urbanistici, normalmente molto più bassi di quando l’edificio è stato costruito: se si demolisce un edificio esistente – ricorda il Documento - la volumetria realizzabile diminuisce del 30%. Si devono ripagare gli oneri di urbanizzazione anche se essi sono stati già pagati in origine. Vi sono poi gli oneri di costruzione.

E’ evidente quindi - ricordano ancora architetti e ambientalisti - che nessun condominio o operatore ha interesse a “rottamare” e preferendo operare con ristrutturazioni o manutenzioni che non ottengono praticamente mai il risultato di migliorare sensibilmente la qualità dell’habitat.


Per favorire la rottamazione di edifici che non garantiscono più la sicurezza o qualità dell’abitare, che sono in classe energetica E, F o G o sono inadeguati dal punto di vista sismico o del rischio idrogeologico o comunque a “fine vita”, la proposta è che la demolizione e ricostruzione di un edificio a fini residenziali, all’interno della medesima proprietà, di pari volumetria e superficie utile non venga considerata nuova costruzione ai sensi del DPR 380/2001 e quindi sia sottoposta a oneri solo sulla eventuale parte eccedente alla volumetria precedente, laddove realizzabile ai sensi delle norme urbanistiche vigenti. L’intervento di sostituzione – sottolinea ancora il Documento - sarà realizzabile solo laddove si realizzi un edificio di classe energetica A e consumo di suolo pari o minore del precedente”.

Una tale innovazione - sottolinea il presidente degli architetti italiani, Leopoldo Freyrie - non solo ci metterebbe alla pari con tutti gli altri Paesi occidentali, che prevedono normalmente la sostituzione edilizia, ma rilancerebbe anche l’edilizia italiana con effetti importanti sul Pil e sulla occupazione. Una politica di questo tipo attuata in Francia e in Germania ha dimostrato – come confermato dai rapporti dell’ANRU francese e della KFW tedesca - che ogni euro di incentivo investito dallo Stato ha prodotto 3 euro di ritorno nelle casse pubbliche in termini di tasse e di diminuzione di costi sociali.

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