Al ricorrente è stato contestato, previa riqualificazione, di aver modificato la destinazione d'uso dei locali del piano interrato e del primo piano (sottotetto) determinando così un aumento della superficie utile lorda e della volumetria superiore al 5% di quella assentita.
Sono state inoltre disattese le previsioni di cui all'articolo 20, comma 2, lettera d) del regolamento edilizio (al piano interrato - destinato a locale di sgombero/cantina/deposito - erano stati realizzati locali con caratteristica di finiture di civile abitazione ed in particolare un locale taverna dotato di forno pizza, tavolo frigorifero, cronotermostato ed un locale camera arredata con letto matrimoniale addossato alla parete ed un locale saunaidromassaggio attrezzato con vasca idronnassaggio e sauna, oltre a un locale deposito, ufficio, relax e locale tecnico ospitante gli impianti tecnologici) nonché dell'articolo 20, comma 2, lettera e) del regolamento edilizio (al primo piano (sottotetto) si constatava l'accorpamento di tutta la manica di "sottotetto non accessibile" alla camera e al bagno con conseguente incremento di superficie utile lorda ed inoltre l'incremento dell'altezza del colmo della falda di copertura al lato nordovest con maggiore altezza interna dei locali in misura eccedente il progetto autorizzato).
SENTENZA DELLA CASSAZIONE. Con la sentenza n. 49583/2015, la terza sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania la quale ha correttamente osservato che, nel caso di specie, si è in presenza di "varianti essenziali" al permesso di costruire (e non già in presenza di un'ipotesi di "difformità totale") caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 d.p.r. n. 380 del 2001 e rappresentate da un consistente, nei termini e nelle percentuali individuate dalla legge regionale, aumento della superficie utile lorda e della cubatura assentite, e dal regolamento edilizio.
“Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale – osserva la Cassazione - si è attenuto alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall'art. 44, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”.
IRRILEVANTE LA NORMA DELLO SBLOCCA ITALIA. Pertanto, aggiunge la suprema Corte, “non rileva nella fattispecie la novella ex art. 17, comma 1, lett. n) decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 che, tra l'altro, nell'affermare che il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, fa salve, in ogni caso, le diverse previsioni da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, pacificamente disattese nel caso di specie e la cui violazione trova presidio proprio nella fattispecie ex art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001”.