La Corte costituzionale ha pubblicato il testo della sentenza – n. 16/2017 qui in allegato – con la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 2 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116), cd. “Spalmaincentivi”, nel settore dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici (LEGGI TUTTO).
Riportiamo qui di seguito alcune delle motivazioni contenute nella decisione della Consulta.
RAPPORTI DI DURATA. “In linea di principio, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (sentenze n. 822 del 1988 e n. 349 del 1985). Ma – come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (in consonanza anche con quella della Corte EDU) – la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata. L’esame della ratio e del contenuto della norma impugnata induce ad escludere che questa abbia inciso all’interno dei rapporti di durata, riconducibili alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi di che trattasi con il GSE, in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile, così da ledere – come si denuncia – il principio evocato.
Il legislatore del 2014 è intervenuto, infatti, in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (in particolare sulle piccole e medie imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale).
Ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]» (art. 23 d.l. citato).
È, dunque, quello in esame un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica.
Gli incentivi al fotovoltaico rientrano, infatti, tra i cosiddetti oneri generali del sistema elettrico e sono posti (anche) a carico del cliente finale, che li paga direttamente, in ragione della copertura di cui alla componente A/3 della bolletta elettrica.”
GARANZIA DI COSTANZA DELL’INCENTIVO. “Ora è pur vero che, nel contesto di tale complessivo quadro normativo, l’introduzione del regime di sostegno delle energie rinnovabili si presenta assistito da caratteristiche di stabilità a lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli investitori; e che, su questa linea in particolare il d.lgs. n. 28 del 2011 – che, secondo il TAR avrebbe «amplificato» la percezione di una tale «stabilità» – dispone che «l’incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto» (art. 24, comma 2, lettera c).
La garanzia di costanza dell’incentivo per tutto il periodo di diritto non implica però, come necessaria conseguenza, che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata. Ciò ancor più ove si consideri che le convenzioni stipulate con il Gestore non sono riducibili a contratti finalizzati ad esclusivo profitto dell’operatore − che dovrebbe vedere ferme le condizioni iniziali, per vent’anni, anche ove le condizioni tecnologiche mutino profondamente − ma costituiscono strumenti di regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico.
Nella sequenza evolutiva della normativa di settore non mancano, del resto, indicazioni di segno contrario alla pretesa consolidazione di un “diritto quesito” dei fruitori dell’incentivo a conservarne immutata la misura originaria per l’intero ventennio di convenuta durata del rapporto.”
SOSTENIBILITÀ DEGLI INVESTIMENTI. “La denunciata rimodulazione dell’incentivo non incide radicalmente sugli investimenti effettuati, come (solo in astratto e senza concreti riscontri nei giudizi a quibus) si prospetta, ma appare viceversa declinata in modo da tener conto della loro sostenibilità.
In alternativa all’intervento, residuale, di riduzione della tariffa incentivante nella (non eccessiva) misura dal 6 all’8 per cento (per gli impianti di potenza nominale, rispettivamente, da 200 a 500, da 500 a 900, ovvero superiore a 900 kW) – ferma restandone l’erogazione ventennale – è lasciata, infatti, al titolare dell’impianto una diversa duplice opzione: quella, cioè, di bilanciare la riduzione dell’incentivo con il prolungamento, per ulteriori quattro anni, del periodo di sua erogazione, ovvero quella di affiancare ad un primo periodo di riduzione della tariffa incentivante un periodo successivo di suo incremento in «egual misura».
La rimodulazione della tariffa, così articolata, è, inoltre, accompagnata da benefici compensativi, come la possibilità per i fruitori delle tariffe rimodulate di accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza tra l’incentivo attuale e l’incentivo rimodulato [finanziamenti di cui possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o di garanzia concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti (art. 26, comma 5)], o come la cessione degli incentivi ad un «acquirente selezionato tra i primari operatori finanziari europei» (art. 26, commi 7 e seguenti, del d.l. 91 del 2014).
Gli investimenti restano conclusivamente, in tal modo, salvaguardati dalla gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto, assicurata l’equa remunerazione.”
DISPARITÀ DI TRATTAMENTO. “Non maggior fondamento ha la denuncia di violazione degli artt. 3 e 41 Cost. in relazione agli ipotizzati profili di disparità di trattamento.
La diversa dimensione degli impianti, di potenza rispettivamente inferiore o superiore ai 200 kW, di per sé giustifica, infatti, la rimodulazione delle tariffe solo relativamente a quelli di portata eccedente i 200 kW, che assorbono la maggior quantità di incentivi, con corrispettivo maggior onere sul sistema.
L’esclusa riferibilità della rimodulazione agli impianti, di portata pur superiore ai 200 kW, nella titolarità di enti locali o scuole neppure poi autorizza a configurare la disparità di trattamento per tal profilo prospettata, stante l’evidente non omogeneità delle categorie di soggetti così comparate, e le ragioni di rispondenza a pubblico interesse della deroga in favore di enti e scuole.
Né maggior consistenza ha, infine, l’ipotesi adombrata di deteriore trattamento dei produttori da fonte solare rispetto agli altri percettori di incentivi parimenti finanziati dagli utenti attraverso i cosiddetti oneri generali di sistema.
Anche per questo aspetto, il giudice a quo (che pur fa riferimento all’accentuato sviluppo del fotovoltaico) non conferisce adeguato rilievo alle ragioni (tra cui la dimensione degli impianti) che sono alla base della diversificata normativa di accesso alle incentivazioni pubbliche, rispettivamente adottata per il fotovoltaico e per le altre fonti rinnovabili di energia.”
AUTONOMIA PRIVATA. “Non sussiste, infine, la lesione dell’autonomia privata, prospettata in ragione dell’incidenza, della contestata riduzione delle tariffe incentivanti, su «negozi di diritto privato».
A prescindere dalla accessorietà di detti “negozi” a provvedimenti di concessione dell’incentivo, viene, infatti, nel caso in esame, in rilievo il principio – più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte – per cui non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009). Condizioni, queste, che, per quanto dimostrato, risultano entrambe rispettate dall’intervento di riduzione e rimodulazione degli incentivi qui scrutinato.”
LE CONCLUSIONI. “Conclusivamente, l’impugnata disposizione di cui all’art. 26, comma 3, del d.l. n. 91 del 2014 supera il vaglio di costituzionalità in relazione ad ognuno dei parametri evocati nelle ordinanze di rimessione.
La questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui al precedente comma 2 dell’impugnato art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 – sollevata (nelle sole tre ordinanze del TAR Lazio di cui si è innanzi detto), con generico rinvio alle medesime censure rivolte al comma 3, in termini di incompatibilità dell’intervento normativo con i precetti di cui agli artt. 3, 41 e 77 Cost. – è, alla stregua delle considerazioni che precedono, a sua volta, conseguentemente non fondata.
Per altro, la nuova modalità di pagamento delle tariffe incentivanti – introdotta dal suddetto comma 2 dell’art. 26 in esame (con riguardo anche agli impianti di potenza inferiore ai 200KW) – non è tale da penalizzare gli operatori del settore, ai quali anzi garantisce, a regime, una maggiore certezza e stabilità dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di anticipazione-conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili, di importo costante, corrispondenti al «90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione» e successivo «conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo».”
INAMMISSIBILE L'INTERVENTO DI ANIE. La Corte costituzionale ha infine dichiarato inammissibile l'intervento della Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE).